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Non si è arreso. «La riforma va fatta ora, ne sono convinto». Andrea Orlando non pare sconfitto né spaurito, dopo il blitz di Renzi sul ddl chiave per la giustizia, la riforma penale appunto. Niente fiducia? «Vedremo», dice laconico il guardasigilli a Bologna, davanti a una platea nervosa ma molto partecipativa di penalisti. Orlando si impegna proprio con gli avvocati, suoi sostenitori leali, a battersi perché «si reagisca ora, subito, alla crisi del processo penale». Perché dopo, se passa ancora tempo, e magari si aspetta di varcare le colonne d'Ercole del referendum e chissà cos'altro, «potrebbero aprirsi scenari inquietanti». Ovvero «la messa in discussione degli stessi principi costituzionali da parte delle forze populiste».Il guardasigilli interviene al congresso dell'Unione Camere penali. Gioca in casa, si trova di fianco al presidente dell'Ucpi Beniamino Migliucci consapevole e persino trascinato dal ruolo che l'avvocatura penale gioca nella partita. Si sprigiona una piccola, paradossale scintilla polemica tra i due: in più di un passaggio il ministro si rammarica con Migliucci per qualche valutazione diffusa poco prima dalle agenzie di stampa, non sempre elogiativa sulla riforma del processo. «La sintesi giornalistica a volte tradisce», spiega il leader dei penalisti. Che infatti è tutto schierato dalla parte di Orlando e contro l'Anm. Adesso d'altronde il guardasigilli sa di giocarsi tutto. Sa che se si impone il sostanziale veto posto da Renzi sul via libera del Senato al ddl, poi sarà impossibile tirar fuori la legge dalle secche del calendario parlamentare, comunque vada il referendum.L'equivoco comunque spinge Orlando a difendersi dall'accusa di una riforma «arrivata alle Camere garantista e destinata a uscire giustizialista» che in realtà Migliucci non ha mai pronunciato. «Si deve essere realisti», argomenta il ministro della Giustizia, «è giusto sfidare il populismo penale, ma si deve ricordare che le forze progressiste non lavorano più per l'estensione delle garanzie». La sinistra non sta più dalla parte della difesa: ad ammetterlo è un guardasigilli che non perde mai l'occasione di rivendicare la propria provenienza da una tradizione marxista. Eppure la sinistra è cambiata, dal punto di vista «culturale»: in tutta Europa «c'è stata una involuzione, basta vedere la sospensione di alcune garanzie costituzionali avvenuta in un Paese come la Francia». A maggior ragione riuscire a parlare di «archiviazione per tenuità del fatto, messa alla prova, riforma del carcere» è un risultato di rilievo. «Inserire misure del genere in un ddl sul processo penale non incrocia certo l'attenzione positiva dei media», ricorda il guardasigilli.Orlando dà l'impressione di aver pefettamente colto il senso dell'ossequio di Renzi all'Anm e a Davigo «contro il quale non si può mettere la fiducia», secondo il premier. Il punto politico è un altro, non la magistratura ma il rischio di una controffensiva grillina sulla giustizia proprio a un passo dal referendum. Ma il ministro sa che smascherare la pretestuosità delle critiche di Davigo è l'unico modo per arrivare all'approvazione del ddl in Senato: solo così si disarma l'opposizione rumorosa e si libera la riforma dall'ansia referendaria del premier. Perciò Orlando attacca proprio l'Anm: «Io proporrei una unificazione di tutti i turni elettorali che i magistrati sono chiamati ad affrontare», dice con una punta di ironia. «Si voti per tutto in un arco limitato di tempo: Anm, Csm e Consigli giudiziari. Altrimenti ci troviamo in una campagna elettorale permanente delle toghe, che rischia di falsare la discussione». Le critiche di Davigo, di pm della sua corrente come Sebastiano Ardita, citato da Orlando, sono insomma slogan per vincere la guerra delle correnti. Solo che Renzi poi li prende sul serio e blocca la fiducia al Senato.A margine, il guardasigilli ricorda gli interventi per potenziare gli organici di cancellieri e magistrati: bando a novembre per 1.000 unità di personale, già avviata la procedura al Csm per 360 nuovi giudici. È l'altra risposta di Orlando per smontare le critiche di Davigo (oggi in conclave a Roma con i capi degli uffici di tutta Italia per lanciare nuovi anatemi sul ddl). Il clima da battaglia trilaterale in realtà infiamma proprio i penalisti, che domani voteranno per decidere se confermare la fiducia a un Migliucci nei fatti schieratissimo a difesa del ministro: «La magistratura non può pensare di dettar legge: così come l'avvocatura, si limiti alle proposte, le scelte toccano solo alla politica», dice il presidente dei penalisti. A suo giudizio, da parte dell'Anm c'è stata «arroganza», per esempio sulla prescrizione, quando Davigo ha giustificato l'idea di interromperne il decorso addirittura all'udienza preliminare, perché «tanto a quel punto le prove sono state raccolte. E sì», incalza Migliucci, che è un bolzanino sanguigno grazie alle radici partenopee, «e se si fosse ragionato così Tortora sarebbe rimasto in carcere tutta la vita». E giù un boato di commozione e rabbia che basta a far capire a Orlando da che parte stanno gli avvocati.