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La prescrizione come un albero avvelenato. Così è stata descritta ieri dalla Camera penale di Roma la riforma voluta dall’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, smontata pezzo pezzo nel corso di un webinair organizzato alle Commissione “merito, legittimità e spazio giuridico europeo". «Una rivendicazione forte», ha affermato il presidente dei penalisti Vincenzo Comi, «contro una riforma che ha generato non solo confusione operativa, ma che ha anche destabilizzato il criterio di durata del processo fino ad arrivare al fine processo mai». L’auspicio per il futuro, dunque, è che la riforma attualmente allo studio del governo «possa azzerare» quanto prodotto dalla norma Bonafede, «per poi individuare un percorso di modifica che garantisca il principio della ragionevole durata del processo».
«La riforma Bonafede ha avvelenato l’istituto della prescrizione», ha evidenziato Angela Compagnone, consigliere del direttivo della Camera penale di Roma, che ha introdotto i lavori moderati da Vinicio Viol, responsabile della Commissione. Lavori ai quali hanno partecipato anche Andrea Longo, avvocato e professore associato di diritto costituzionale e gli avvocati Nicola Madia, Giuseppina Ferro e Simone Buffardi De Curtis e che hanno raccolto anche l’autorevole testimonianza di Niccolò Zanon, giudice della Corte costituzionale, che ha richiamato due pronunce fondamentali della Consulta - le cosiddette sentenze “Taricco” -, nelle quali la Corte ha usato parole «che restano scolpite nella pietra», evidenziando il carattere sostanziale della prescrizione nell’ordinamento italiano e il livello di protezione maggiore rispetto a quello stabilito dalle norme europee. Ma Zanon, incalzato dalle domande di Madia, è andato oltre, spiegando - caso eccezionale - il suo disaccordo rispetto alla sentenza di sospensione della prescrizione in tempo Covid. «Proprio le situazioni di emergenza rappresentano il momento in cui gli organi costituzionali di garanzia dovrebbero parlare con una voce fermissima - ha sottolineato -, dovrebbero essere inflessibili, richiamare i principi. È proprio in quel momento che la persona è indifesa rispetto al potere. Di fronte a questa esigenza di agire subito, in fretta, in modo inflessibile, senza riguardi, ci dovrebbe essere qui un giudice a Berlino e non c’è stato». Al dibattito ha partecipato anche Enrico Costa, deputato di Azione e responsabile Giustizia del suo partito, che ha sostanzialmente “smontato” la norma Bonafede, evidenziandone le contraddizioni e, soprattutto, l’assenza di una norma transitoria, da lui richiesta attraverso un ordine del giorno, approvato dal governo ma mai attuato. Un ordine del giorno che poneva il problema dell’irretroattività, totalmente sorvolato dalla norma. Ora, però, «abbiamo una sfida importante - ha evidenziato -. Il tempo è l’elemento fondamentale sul quale ruota il sistema del processo penale. La sospensione della prescrizione dopo il primo grado è assolutamente inutile nel nostro sistema, anzi dannosa, perché determina il rischio di fine processo mai. Perché le vere sacche di inerzia dei processi si annidano altrove, ovvero nelle indagini preliminari». Fase che la norma Bonafede affronta attraverso l’azione disciplinare a carico del magistrato o una discovery anticipata, «meccanismo assolutamente eludibile», ha aggiunto Costa. Che opta per una modifica precisa: «Se l’appello non si svolge entro due anni la prescrizione riparte, tenendo in considerazione, nel computo, anche quei due anni».