PHOTO
Ilda "la Rossa". Più per i capelli che per le idee politiche, nonostante quelle giovanili effusioni nei pressi del palazzo di Giustizia milanese con un giornalista di Lotta continua che nel 1982 le costarono un provvedimento disciplinare di stampo medievale per ' condotta immeritevole'. L’anno seguente un Csm meno inquisitorio l’assolse. La quale, all’epoca, era sostituta procuratore a Milano e aveva per le mani un’inchiesta di quelle che fanno storia, la Duomo Connection. L’impianto per la verità non resse del tutto. Alla fine di una lunghissima vicenda processuale furono confermate solo le accuse per storie di droga ma nel frattempo la magistrata più nota, temuta e chiacchierata d’Italia si era fatta un nome: quello di una donna tanto professionalmente dotata quanto dannata da un caratteraccio infernale.
Nessuno come lei ha rappresentato al meglio il volto arcigno della giustizia. Quando le telecamere la immortalarono, anni fa, mentre ordinava agli agenti: «Fate sgombrare l’aula, anche con le maniere pesanti», nessuno si stupì di quell’atteggiamento da commissario in servizio d’ordine pubbli- co. La donna, già si sapeva, era fatta così. Napoletana, classe 1949, famiglia di magistrati alcuni dei quali trasmigrati qualche volta anche sul banco degli imputati, la Rossa è tanto tosta con i colleghi quanto con gli imputati. Litigio facile, fiducia massima in se stessa e minima nei colleghi: una giudice abituata, come scrisse il fan Peter Gomez, a «fare tutto da sola» e a «procedere come un treno». I litigi con Armando Spataro, nel pool antimafia di mafia di Milano, erano diventati all’inizio degli anni ‘ 90 così continui e tanto fragorosi da spingere Borrelli, procuratore capo, a metterla alla porta: «E’ dotata di individualismo, carica incontenibile di soggettivismo e di passione, non disponibilità al lavoro di gruppo».
Con un collega però Ilda non ha mai litigato: Giovanni Falcone, lo giudicava e lo giudica «il migliore di tutti». Avevano lavorato insieme nell’inchiesta sulla Duomo Connection. Ne era nata un’amicizia profonda, che ha davvero segnato per sempre la giudice napoletana trasferita a Milano. Ilda Boccassini non è tipo da dimenticare i torti, e nemmeno da tenersi le cose dentro. Le strillò tutte, forti e chiare, subito dopo la strage di Capaci quando, sul punto di farsi trasferire a Caltanissetta per indagare di persona sulla morte dell’amico, mise pubblicamente all’indice tutti quelli che avevano attaccato il giudice siciliano: «Lo avete fatto morire con la vostra indifferenza e le vostre critiche e adesso avete pure il coraggio di andare al suo funerale».
Il ricordo di Falcone non la ha mai abbandonata. Quando Antonio Ingroia osò paragonarsi a lui lo sbranò senza esitare e molti, a Milano, sussurrano che l’eterna crociata contro Silvio Berlusconi, non priva di aspetti che legittimano il dubbio di un’ossessione, derivi dalla convinzione che l’ex Cavaliere abbia qualcosa a che vedere con le stragi del 1992. Che in Sicilia Ilda volesse vendicare Falcone è certo. Ma l’emotività non fece velo alla sua professionalità. E’ stata tra i pochi a non credere mai al pentito bugiardo Scarantino, che ha depistato per decenni le indagini sulla morte di Borsellino e la strage di via D’Amelia. Se le avessero dato retta quando buttò giù nero su bianco la marea di bugie raccontate dal pentito, nel 1994, le indagini non avrebbero imboccato la falsa pista e un certo numero di innocenti non sarebbero finiti a lunghissimo in galera.
Per le star di Mani pulite, negli anni del loro fulgore, la Boccassini non nutriva grande simpatia. Li guardava dalla trincea siciliana e ne criticava la popolarità mediatica e la tendenza a farsi supportare dallo sdegno popolare. Ma tornata Milano a metà anni ‘ 90 nel pool anti- corruzione senza più Di Pietro finì anche lei. L’avventura cominciò malissimo: una rissa con la ex pm dello stesso pool Tiziana Parenti, nel frattempo diventata forzista, tra le più incresciose. Se le due non si presero letteralmente per i capelli ci mancò pochissimo. In compenso sbocciarono a volontà pettegolezzi boccacceschi su entrambe. La napoletana uscì dalla storiaccia immacolata. Data più o meno da allora l’interminabile guerra contro Berlusconi. E’ stata una guerra combattuta su più fronti e con esiti alterni: caso Squillante, lodo Mondadori, soprattutto il caso Ruby. La requisitoria della pm in quel processo fu clamorosa, densa di rilievi moralisteggianti non solo sull’imputato ma anche sulle sue ' olgettine'. Moltissimi, e non solo da destra, non gradirono quella concione che era contro Silvio Berlusconi ma anche contro ' le puttane'. La fiammeggiante scivolò poi in uno strafalcione grave, accusando l’egiziana Ruby di ' furbizia orientale'. Strappò lo stesso una condanna pesante, 7 anni, sostituita però dall’assoluzione nei successivi gradi di giudizio.
Da qualche giorno Ilda Boccassini, nel frattempo trasformatasi grazie alla tintura in Ilda ' la Bionda', non è più procuratore aggiunto di Milano, avendo esaurito il ciclo di 8 anni. E’ tornata a essere sostituta e la legge che ha fissato a 70 anni l’età della pensione per i togati rende quasi impossibili nuovi scatti di carriera. Il suo segreto, in fondo, è tutto in quell’aggettivo con cui Borrelli la definì a suo tempo, ' passionale', che lei traduce dicendo di se stessa: «Io sono un soldato». Il giudizio sulla sua parabola dipende in realtà da quanto si consideri appropriato interpretare il ruolo di pm come una guerra contro gli imputati.