“Contro la criminalità politica e comune”, Pannella aveva promosso azioni politiche e giudiziarie e addirittura una lista elettorale, quella antiproibizionista sulla droga. Per perseguire i crimini contro l’umanità ha promosso l’istruzione di processi penali e l’istituzione di tribunali penali internazionali. Davanti al tribunale e nel carcere dell’Aja sono finiti e anche morti capi di stato come Milosevic.

Quando si dice: politica criminale del governo, non significa solo avere e fare una politica “sulla criminalità”, può anche accadere che sia e si faccia una politica “criminale”. E la responsabilità politica di un fatto che si ha l’obbligo giuridico di impedire è ben più grave della responsabilità penale che pure ne deriverebbe. Obbligo “giuridico” vuol dire anche “di legge”, di chi le leggi le fa e di chi le deve applicare.

E il fatto qual è? Il fatto è quello per cui l’Italia è stata già condannata dalla Corte Edu nel 2013: la violazione dell’articolo 3 della Convenzione che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti nelle carceri. A seguire, lo Stato italiano è stato anche dalla magistratura di sorveglianza condannato a risarcire 24.301 detenuti in base all’articolo 35- ter OP. Fosse lo Stato un comune cittadino, diremmo: è recidivo, un delinquente abituale, professionale e per tendenza.

“Non si può mettere una questione politica nelle mani dei Pm”, dice Enrico Costa. “È una commistione tra politica e processo”, aggiunge Desi Bruno. In nome del “garantismo” e della “separazione dei poteri”. Ma cosa c’entra il garantismo e la separazione dei poteri con la nostra denuncia?

L’iniziativa di Roberto Giachetti e di Nessuno tocchi Caino è stata messa innanzitutto nelle mani del Parlamento. E ha seguito perfettamente la via più classica della nonviolenza radicale pannelliana. La nostra è stata una lunga via, sulla quale si è proceduto per tappe con dovizia di dialogo e fiducia nelle istituzioni. La denuncia è stata l’ultima tappa, per ora. Ripercorriamo brevemente il percorso. Come Nessuno tocchi Caino abbiamo effettuato negli ultimi anni centinaia di visite agli istituti penitenziari: 120 nel solo 2023 e 70 quest’anno. Dalle visite sono emersi rapporti puntuali per il Capo del Dap.

La proposta di legge sulla liberazione anticipata è stata depositata alla Camera da Roberto Giachetti nel 2022. Per la sua calendarizzazione lo stesso Giachetti e Rita Bernardini hanno fatto uno sciopero della fame durato mesi. Rita ha fatto anche due giorni di sciopero della sete per scongiurare l’ennesimo rinvio del voto. Durante questo periodo il tentativo di interlocuzione coi massimi responsabili del governo è stato continuo e portato avanti fino all’ultimo minuto utile. Niente da fare.

A ogni piè sospinto i responsabili di Via Arenula dichiaravano: sarebbe una “resa dello stato”, non vogliamo lo “svuota carceri”. Cioè, esattamente quello che chiede il Consiglio d’Europa agli Stati membri: svuotare ( un po’) le carceri, addirittura, non per risolvere ma per prevenire il problema del sovraffollamento. Ed evitare la tortura di stato che è reato ben più grave della sua resa.

La “commistione”, peggio, la connivenza “tra politica e processo” è un dato di fatto. All’esecuzione di una pena illegale concorrono ( è un concorso nel reato) il decisore politico e il controllore giudiziario. Se si eccettuano i bravi magistrati di sorveglianza che concedono misure alternative e rimedi risarcitori per i trattamenti inumani e degradanti subiti in carcere, non si vedono altri magistrati – procuratori, giudici delle indagini e del processo e giudici supremi – che rifiutino di firmare provvedimenti cautelari, sentenze penali e ordini di esecuzione per le condizioni inumane e degradanti del luogo in cui si va a finire.

Una chiara ed effettiva distinzione tra i poteri dello Stato richiede proprio che la politica entri nel processo e, viceversa, il processo nella politica. Cosa sono d’altro canto i ricorsi alla Cedu? Altro che commistione! La nostra denuncia, semmai, richiama – intanto – tutti i responsabili nazionali all’esercizio chiaro e distinto delle proprie responsabilità. Assistiamo invece al fatto che il decisore politico scarica sull’esecutore giudiziario l’onere e l’onta di una custodia e una pena illegali. Mentre il controllore giudiziario non imputa, anzi, tollera ogni responsabilità del decisore politico rispetto allo stato di abbandono e di degrado delle carceri. Gli uni e gli altri cagionano ciò che hanno l’obbligo giuridico di impedire.

L’obiettivo della nostra denuncia è ridurre il sovraffollamento che è all’origine di tutti i misfatti che avvengono nelle carceri. Non siamo innamorati della nostra proposta di liberazione anticipata. Ogni altra che portasse, con l’urgenza che la fragranza di reato impone, a una riduzione drastica del carico di dolore che grava sull’intera comunità penitenziaria, dei detenuti e dei detenenti, sarebbe per noi benvenuta e per me ragione sufficiente per ritirare la denuncia. Non sono innamorato del diritto penale e anche rispetto a un diritto penale migliore preferisco qualcosa di meglio del diritto penale.

Tanto poco mi appassiona il penale che semmai dovesse l’esposto arrivare a processo, cosa altamente improbabile, io personalmente in quel processo non mi costituirei parte civile. Non mi interessa la giustizia della bilancia e della spada, del delitto e del castigo. Mi convince quella che ripara e riconcilia. Non vedo l’ora che questo Stato corra ai ripari sulla situazione delle carceri. Sarebbe quella l’ora anche della riconciliazione.