La foto è lì, a ricordare un ultimo gesto di umanità in un sistema che sembra averla dimenticata. Patricia Nike, 54 anni, nigeriana, malata e fragile, piange disperata tra le braccia di un’agente penitenziaria durante la visita di Papa Francesco al carcere di Rebibbia nel marzo 2024. Il Pontefice le accarezza il volto, promettendo preghiere. Nove mesi dopo, il 12 gennaio 2025, Patricia muore sola in una cella del carcere Pagliarelli di Palermo, dopo un trasferimento inspiegabile e una sequenza di negligenze che oggi la senatrice Ilaria Cucchi (Alleanza verdi e sinistra) cerca di portare alla luce con un’interrogazione parlamentare indirizzata ai ministri della Giustizia e della Sanità. Il caso, ricordiamo, è stato sollevato da Claudio Bottan, autore della rivista Voci dentro fondata da Francesco Lo Piccolo.

Come emerge dal documento reperito dalla senatrice Cucchi, Patricia Nike era affetta da Hiv, epatite B e C, linfoadenomegalie diffuse e necessitava di un deambulatore per muoversi. Nonostante ciò, l’ 8 gennaio 2025 viene trasferita da Rebibbia a Palermo, in ambulanza, con la motivazione ufficiale di “deflazionamento” del carcere romano, gravemente sovraffollato. La direzione di Rebibbia aveva assicurato che la donna, pur con patologie croniche, fosse in condizioni di viaggiare. A Palermo, però, la realtà si rivela ben diversa: secondo il responsabile sanitario del Pagliarelli, Patricia era arrivata in condizioni critiche, al punto da richiedere accertamenti urgenti. Il 9 gennaio, appena un giorno dopo l’arrivo, viene sedata con Valium dopo una crisi di agitazione psicomotoria. Tre giorni dopo, il 12 gennaio, muore. A Palermo non aveva familiari, né assistenza adeguata: una compagna di cella era stata incaricata di aiutarla, ma le sue condizioni, già compromesse, non hanno retto allo stress del trasferimento e alla carenza di cure.

CONTRADDIZIONI E OMISSIONI

L’interrogazione della senatrice Cucchi solleva interrogativi scomodi. Perché trasferire una donna così malata in un carcere siciliano anch’esso sovraffollato (1.400 detenuti su 1.000 posti), privandola del resto di una “rete affettiva”? Perché la cartella clinica non è stata trasmessa nonostante le richieste? Perché le relazioni sanitarie di Rebibbia e Palermo sono in netto contrasto? La senatrice chiede inoltre se sia stata eseguita un’autopsia, dove sia stata sepolta la donna e quali iniziative i ministri intendano adottare per verificare le responsabilità. Ma la questione va oltre il singolo caso: «Quali azioni concrete verranno intraprese per superare il sovraffollamento e garantire il diritto alla salute dei detenuti?», si legge nell’interrogazione.

La vicenda di Patricia non è isolata. Il carcere italiano è un “buco nero” per i detenuti fragili: malati cronici, tossicodipendenti, stranieri senza permesso di soggiorno. Persone che, come Patricia, non dovrebbero essere in carcere, ma in strutture sanitarie. Il trasferimento da Rebibbia a Palermo sembra rientrare in una logica di “spostamento del problema”, aggravata da dinamiche opache. A novembre 2024, la direttrice del Pagliarelli aveva già lanciato l’allarme sul sovraffollamento, mentre Rebibbia procedeva a trasferimenti per lavori di ristrutturazione. Intanto, la richiesta di sospensione della pena per Patricia – avanzata mesi prima per consentirle cure adeguate – era stata respinta con la motivazione che Rebibbia potesse assisterla. Una decisione che oggi appare grottesca.

«La trasparenza non è una virtù dell’istituzione penitenziaria», ha scritto Bottan su Voci Dentro. La morte di Patricia, infatti, non è stata classificata come “evento critico” dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, quasi fosse un incidente di percorso. Senza il lavoro di Voci dentro e l’interrogazione della Cucchi, la sua storia sarebbe rimasta sepolta nel silenzio. Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, non usa mezzi termini: «Sono delitti di Stato». Il riferimento è a un sistema che, per carenza di personale, fondi e volontà politica, condanna i detenuti più deboli a una morte lenta. Come il caso del detenuto anziano di Rebibbia a cui veniva negata la chemioterapia per mancanza di scorte, o del giovane con tumore alla vescica abbandonato a sé stesso.

L’interrogazione della senatrice Cucchi non è solo una richiesta di verità, ma un atto d’accusa verso un sistema incapace di proteggere i diritti fondamentali. Le domande ai ministri sono precise. Perché non si è tenuto conto delle condizioni di salute di Patricia prima del trasferimento? Come giustificare lo spostamento in un carcere altrettanto sovraffollato? Perché non è stata fornita la cartella clinica? Quali iniziative verranno prese per evitare altre morti simili? La senatrice chiede anche l’autopsia (ancora non eseguita) e informazioni sulla sepoltura, dettagli che potrebbero chiarire le cause del decesso. Ma il cuore della questione resta il sovraffollamento carcerario, definito dalla stessa Cucchi «una violazione sistematica dei diritti umani».