PHOTO
«Madonna un massacro! Picchi pi forza un magistrato si… si ficca una testa ca chiddru avia fatto a trattativa…». È in dialetto siciliano, dice che è un massacro, «perché per forza un magistrato si ficca in testa che quello aveva fatto la trattativa». Il riferimento è a Mario Mori, l’ex comandante dei Ros, condannato in primo grado per la trattativa Stato- mafia. Si tratta di un dialogo estrapolato da una intercettazione ambientale nei confronti di un indagato del famoso caso Montante, quest’ultimo agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di esponenti delle forze dell’ordine. Le indagini della Squadra Mobile e della Procura di Caltanissetta gli contestano di aver creato una rete illegale per spiare l’inchiesta, che era scattata nei suoi confronti tre anni fa, dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia. Oltre a lui, a maggio scorso, altre cinque persone sono state raggiunte da un’ordinanza di arresto. In tutto, però, gli indagati sono 22: tutti accusati di aver avuto in qualche modo un ruolo nella catena delle fughe di notizie. In particolar modo, si fa riferimento al delitto previsto dall’articolo 416, commi 1, 2, 3 e 5 del codice penale, per essersi associati, in numero superiore a dieci, allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica amministrazione e di accesso abusivo a sistema informatico. Antonello Montante, ex presidente di Sicindustria, secondo il Gip, avrebbe intrattenuto «rapporti con appartenenti alle forze di polizia al fine di indirizzare le attività di costoro in maniera tale da garantire i propri personali interessi e quelli di coloro a cui sono strettamente legati e di ottenere, ai medesimi fini, informazioni di natura riservata, nonché occupandosi di soddisfare le aspettative di carriera e di lavoro degli stessi o di loro familiari ed amici».
Uno dei cinque arrestati – si legge nell’ordinanza del Gip - parla con la moglie, mentre erano in auto, discutendo sulla notizia della perquisizione a tappeto nella casa di Montante. È il 22 gennaio del 2016 e la moglie ha dato notizia di un articolo di giornale, in cui si parlava delle perquisizioni e della chiusura delle indagini con l’originaria accusa – poi decaduta – per concorso esterno in associazione mafiosa. Sono preoccupati i due coniugi, si teme di finire nell’incubo giudiziario. «Noi rischiamo un casino, per leccargli il culo», afferma testualmente alla moglie.
È la stessa donna che prosegue nel dialogo, lasciandosi andare alla descrizione della gogna che avrebbe potuto coinvolgere il marito: «Il processo penale è nelle mani di nessuno, cioè arriva un cretino che ti denuncia, magari non hai fatto niente, ma intanto ti mettono i telefoni, ti massacrano, t’ammazzano proprio la vita, te la riducono in uno scempio, te ne vai sui giornali, ti fanno un processo, ti fanno suicidare». Il marito conferma: «Certo, certo!». Il dialogo è incentrato sul sistema della giustizia, in cui un magistrato si affida ai pentiti e sulle loro dichiarazioni si fa l’idea che uno sia colpevole, da condannare.
E proprio la moglie dell’indagato fa l’esempio del noto processo sulla trattativa. Parla in dialetto siciliano e letteralmente tradotto in italiano dice al marito: «Quattro soggetti fanno una cospirazione, uno dice: “Incolpiamo a quello, ci diciamo che quello è mafioso”. Ma chi è? Non esiste e poi ti massacrano la vita, spendono milioni di euro, il telefono sotto controllo ti mettono (…), cioè tipo quando hanno fatto la trattativa stato mafia e c’è gente, tipo quello là dei Ros, quel generale Mori. Madonna un massacro, perché per forza un magistrato si ficca in testa che quello aveva fatto la trattativa». Il timore della moglie è che il processo del marito faccia la fine di quello della Trattativa, «tipo quello là dei Ros, quel generale Mori». Una situazione paradossale. Perché? Il marito indagato è il colonnello Giuseppe D'Agata, ex capocentro della Dia di Palermo - poi passato ai Servizi Segreti -, lo stesso che con quell’incarico precedente aveva seguito tutte le fasi dell’indagine sulla trattativa Stato- mafia: l’accusa dei Pm palermitani si era fondata infatti sulle indagini della Dia, seguite appunto da D’Agata. Il paradosso è che abbiamo la moglie dell’investigatore del processo della Trattativa che, a proposito del “massacro” giudiziario, dice al marito che potrebbe fare stessa fine dell’ex generale Ros Mori, finito sotto le indagini seguite passo dopo passo proprio da lui.