L’esempio più chiaro? L’omicidio stradale. «Parli con i rappresentanti di tutte le forze politiche e ti dicono: certo, quella legge è una previsione giuridica che non sta né in cielo né in terra, ma come potrebbe la nostra forza politica votare contro? ». Il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin cita la questione per dire fino a che punto la politica sia ormai subordinata all’onda giustizialista. Lo fa in apertura della manifestazione organizzata per spiegare le ragioni dello sciopero dei penalisti. Quella del «non possiamo opporci al vento» è, per così dire, l’eziologia del male. Che fa compassione. Fa invece spavento la parte in cui Mascherin traccia con spietata minuzia la diagnosi. Quella in cui parla di un «approccio alla legislazione diventato culturalmente dominante, e che è un approccio da messa nera del diritto. I processi durano troppo? Be’, invece di correggere la disfunzione e rientare nell’alveo della ragionevole durara, cioè nell’articolo 111 della Costituzione, cosa si fa? Si allunga il processo ancora di più, con l’innalzamento dei termini di prescrizione. Si ribalta sia il principio del male che la verità della sua origine, attribuita invariabilmente agli avvocati. Si positivizzano gli aspetti negativi della giustizia».Una religone civile ribaltata: una messa nera appunto. Mascherin è chiaro e inquietante. Ma prova anche a indicare la via d’uscita: «È perfettamente inutile sperare che la politica possa sottrarsi al meccanismo del consenso: ne è strutturalmente asservita. Se opporsi alle spinte che provengono dall’opinione pubblica fa perdere voti, a noi avvocati resta solo una cosa da fare: adoperarci per promuovere i principi del diritto presso l’opinione pubblica stessa». Il presidente dell’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura immagina «la costruzione di manifesti culturali, in cui dovremmo coinvolgere cultori della materia, insegnanti, intellettuali, operatori della giustizia. Dovranno essere non i manifesti dell’avvocatura ma dei diritti».E un motivo per farlo sta d’altronde proprio nella messa all’indice dell’ordine forense sotteso in tante ipotesi di riforma, nella prescrizione come nelle intercettazioni. «Non vedo alcun dibattito intorno alla gravissima consuetuidine di intercettare gli imputati anche nelle conversazioni con i loro difensori», dice Mauro Vaglio, presidente del Consiglio dell’Ordine di Roma, che ha organizzato l’evento di ieri insieme con l’Ucpi. «Gli avvocati della Capitale, in particolare, sono vittime di questi abusi, che vanno assolutamente cancellati». Vaglio ricorda anche come «allo sciopero abbiano aderito tanti civilisti, queste manifestazioni sono molto importanti». Lo sono probabilmente anche per saldare l’alleanza tra l’avvocatura e le non molte figure della scena politica capaci di battersi per i principi del diritto. Una di queste è Enrico Costa, ministro degli Affari regionali che fino a pochi mesi fa è stato il vice di Orlando alla Giustizia, e che pure interviene al convegno per presentare un formidabile, potenziale primo contenuto di quei manifesti di cui parla Mascherin: i dati statistici sul processo. Che «dicono come la maggioranza delle prescrizioni intervenga nella fase delle indagini e che ci hanno spiegato, per esempio, l’urgenza di rivedere la responsabilità civile dei magistrati: con la vecchia legge c’erano state 7 condanne in 26 anni. Finché non l’abbiamo riformata». Non tutta la politica insomma offre le vele al vento del populismo giudiziario.