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La guerra di nervi tra opposti costretti a condividere la stessa maggioranza prevede una sola regola: rispondere colpo su colpo. E così, se Pd e Movimento 5 Stelle non vogliono sentir ragioni su modifiche al ddl Zan, tanto invocate dalla Lega, Matteo Salvini mira dritto al nervo scoperto dei giallo-rossi: la giustizia. Non solo il leader del Carroccio ha fatto sapere che sosterrà i referendum proposti dai Radicali, ieri ha annunciato la presenza della Lega in piazza, a partire da luglio, per raccogliere le firme necessarie. «Dal 1 luglio saremo nelle piazze italiane insieme agli amici del Partito radicale per la raccolta delle firme su almeno cinque quesiti referendari sulla giustizia per evitare altri casi Palamara, per la separazione delle carriere, per la riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e della custodia cautelare», dice Salvini in conferenza stampa, facendo scattare sull’attenti buona parte degli “alleati” di governo. «Altro che 500mila firme, ne raccoglieremo 5 milioni», aggiunge il segretario della Lega, piantando anche un bella grana sul cammino della guardasigilli Marta Cartabia. «Siamo pronti a sostenere da domani le riforme del ministro Cartabia», spiega Salvini per addolcire la pillola. «Se il Parlamento lo farà bene, altrimenti saranno gli italiani a dare la spinta in primavera».Tradotto: o via Arenula spinge il piede sull’acceleratore, con buona pace delle “sensibilità” pentastellate e dem, o la Lega di governo non avrà alcuna difficoltà a indossare la felpa della lotta e chiamare a raccolta gli elettori. La “minaccia” fa sì parte del repertorio di contrapposizione che di volta in volta interpreta l’una o l’altra parte della maggioranza, ma fa comunque suonare un campanello d’allarme in casa giallo-rossa. Tanto che persino il presidente della Camera, Roberto Fico, ritiene opportuno intervenire nel dibattito per frenare l’iniziativa salviniana. «Abbiamo presentato il Recovery Plan a Bruxelles puntualmente alla fine di aprile. Il Parlamento continua a lavorare a pieno ritmo: sono fiducioso del fatto che entro la fine dell’anno riusciremo ad approvare le riforme della giustizia e del fisco», dice la terza carica dello Stato, intervistata dal quotidiano austriaco Die Presse. «Sono sicuro che questo Parlamento varerà le riforme in questa legislatura, anche perchè le risorse dell’Ue che vogliamo investire in economia verde, digitalizzazione e infrastrutture sono legate a questa condizione», insiste Fico, rispondendo proprio alle parole di Salvini che pochi giorni fa aveva messo in dubbio la capacità dell’attuale maggioranza Draghi di portare a casa le riforme. «Salvini ora, come tutti gli altri, deve assumersi la sua responsabilità, e farlo in Parlamento, dove ciascuno è libero di votare a favore o contro le riforme. Questo governo ha un’ampia maggioranza», sottolinea il presidente della Camera. Ma Salvini non sembra affatto intimorito dall’alzata di scudi messa in mostra da buona parte dei suoi alleati di governo e va dritto per la sua strada. Per Pd e Movimento 5 Stelle, quella della Lega è solo l’ennesima presa di posizione strumentale per alzare il tiro. Un gioco che però mette a rischio le risorse del Recovery, continuano a ripetere dal fronte giallo-rosso, compatto nel sostenere che una forza di governo dovrebbe provare a condizionare la maggioranza dall’interno del Palazzo, non con iniziative referendarie. Per questo sono in tanti, nel centrosinistra, ad apprezzare l’intervento di Roberto Fico. A cominciare da Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera e compagno di Fico, che ringrazia il numero uno di Montecitorio perché, «inappuntabile, ha richiamato Matteo Salvini alle sue responsabilità», dice Perantoni. «Il leader leghista non può giocare con la pelle degli italiani. Abbiamo un compito molto gravoso e intendiamo portarlo avanti: quello di riformare la giustizia. Vogliamo adempiere a questo dovere nei confronti del Paese discutendo e non perdendo tempo per difenderci dalla rissa che Salvini prova ogni giorno ad accendere», aggiunge il presidente della commissione Giustizia.Ma le zuffe, a quasi 100 giorni dal giuramento di Draghi, sono solo all’inizio. Il percorso delle riforme, non solo della giustizia, è un campo minato. Trovare una quadra tra opposti senza scontentare nessuno sarà l’impresa più ardua per il premier.