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La definizione è bell’e che pronta, ed è “panem et circenses” ( lat. «pane e giochi del circo» ) e ce la fornisce nientemeno che l’avvocato ( ma soprattutto poeta) Decimo Giunio Giovenale, vissuto intorno al 100 dc.
L’Enciclopedia Treccani ci informa poi che l’espressione ( contenuta nella Satira X, 81) “sintetizza le aspirazioni della plebe romana nell’età imperiale; viene ripetuta talvolta, ironicamente o anche in senso polemico, con riferimento ad atteggiamenti analoghi, reali o presunti, del popolo o a metodi politici bassamente demagogici”.
Cos’è il “panem” di oggi? Ma naturalmente i sussidi, quelli distribuiti a pioggia e fatti a debito. E i “circenses”? Lo spettacolo, elargito dal sistema mediatico, del “mostro” di turno che i bravi cittadini possono ( eufemisticamente, per fortuna) fare a pezzi in quel Colosseo moderno che sono i social network.
E i media vi giocano un grande ruolo. Coi cronisti spediti in borgate frequentate solo per l’occasione, a caccia di commenti che possano aizzare ancor di più la furia popolare, messi a spulciare, con poliziesca diligenza, gli account del mostro di turno, alla ricerca di foto che lo ritraggano in atteggiamenti da bullo… quando non si ha la fortuna ritrovarselo ripreso con una pistola ( vera o finta) tra le mani. Slurp… E va bene che nessuno più compra i giornali, e che bisogna pur inventarsi qualcosa per vendere, ma questa non è una buona ragione per mettersi a fare concorrenza a Facebook, una piattaforma che si nutre di rancore sociale e che venne creata, non a caso, da Zuckerberg, con l’idea di vendicarsi di una ragazza che lo aveva respinto e metterla alla berlina ( così almeno ci racconta l’ex amico Ben Mezrich).
Quanto accaduto nei giorni scorsi a Colleferro non si sottrae al copione sperimentato già centinaia di volte. Il brutale assassinio del povero Willy Monteiro Duarte ha scatenato un’ondata di odio contro i presunti assassini, che mi pare abbia poco a che vedere con sentimenti di pietà per la vittima e solidarietà con la sua famiglia ( chiusa peraltro in un dignitosissimo silenzio, pur essendo l’unica ad avere “diritto” a sentimenti di vendetta). I feroci commenti che appaiono sui media sociali, rilanciati da quelli più autorevoli, le animose richieste di pene esemplari prima ancora che i fatti vengano interamente chiariti, di esecuzioni senza processo, le imprecazioni contro i presunti assassini, manifestate con atteggiamenti bulleschi non diversi da quelli esibiti dai suddetti “mostri” nelle foto recuperate dai loro account, sembrano piuttosto evocare una feroce voglia di sangue, un desiderio di spettacoli cruenti degni del Circo Massimo ( i “circenses”, appunto).
E non è questione che si risolva in termini di “garantismo” e “giustizialismo”. C’è qualcosa di più e di più profondo. E si tratta, io credo, dell’uso che del “giustizialismo” viene fatto, che è un uso eminentemente politico.
“Panem et circenses” sono strumenti di stabilità sociale, servono al Potere, danno sfogo a frustrazioni che potrebbero altrimenti pericolosamente dirigersi contro obiettivi più concretamente politici. E l’uso politico del giustizialismo tende inevitabilmente ad accentuarsi, quanto più ci si deve confrontare con una situazione di grave fragilità sociale e con una crisi economica senza facili vie di uscita, con un sentimento diffuso di incertezza, con la paura per le gravi fibrillazioni internazionali e i rischi di guerra. In questo quadro, la canea giustizialista costituisce un formidabile diversivo, ed è facilissima da governare: prende di mira persone in carne ed ossa, messe a disposizione dalla cronaca giudiziaria, esonerando i cittadini dalla fatica di analizzare le cause e di individuare i veri responsabili del disastro che stiamo vivendo.
Nei social network possiamo urlare tutta la nostra rabbia contro i catalizzatori di turno del rancore sociale, possiamo chiederne l’impiccagione o lo squartamento immediato, vendicandoci – tramite loro – di tutti i guai che ci assillano, illudendoci così di ottenere giustizia.
Nel 1974, Heinrich Böll scriveva “L’onore perduto di Katharina Blum”, un romanzo che prendeva di mira il giornale Bild. Nel racconto la donna, che diversamente forse dai due “mostri” di oggi era innocente, viene perseguitata da un giornalista a caccia di scoop, cinicamente pronto a piegare ogni verità alle esigenze di tiratura. Boll voleva stigmatizzare la stampa cosiddetta “scandalistica”. Cosa farebbe oggi, che anche i giornali più autorevoli usano le stesse pratiche?
*Avvocato penalista, ex magistrato