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I nomi delle loro aziende sono ormai da anni nella saga siciliana delle misure di prevenzione: Comest, Icotel, e poi Euro impianti plus. Sono i marchi della famiglia Cavallotti, una dinastia di imprenditori radicata nel Palermitano, a Belmonte Mezzagno. Mettono in piedi un piccolo impero nel campo della metanizzazione, che negli anni Novanta porta le condotte in molti comuni della Sicilia occidentale. Patrimonio oggi ridotto in polvere, prima dai sequestri per un’accusa di mafia rivelatasi infondata e poi dalla gestione dei beni condotta dagli amministratori giudiziari. Della seconda generazione dei Cavallotti fa parte Pietro, autore della testimonianza pubblicata in questa pagina: lui e i suoi fratelli sono ancora, tenacemente alle prese con un processo di prevenzione che consentirebbe loro di riacquisire almeno una parte dell’originaria struttura aziendale. Nella prossima udienza fissata per il 15 maggio saranno finalmente ascoltati i periti, che dopo 7 anni di stallo dovrebbero attestare come le società della famiglia di Belmonte abbiano un’origine lecita.
Nella storia dei Cavallotti c’è un processo con accuse di mafia che nel 1998 aveva portato all’arresto di tre esponenti della “prima generazione” di questi imprenditori. Il pizzo pagato a boss vicini a Provenzano fu scambiato per un sostegno da parte Cosa nostra. La verità, dunque l’innocenza degli imprenditori siciliani, è stata accertata dopo 12 anni, nel 2010. Non è bastato a evitare che anche le aziende appartenenti alla seconda generazione dei Cavallotti finissero sotto sequestro, in un procedimento di prevenzione dinanzi alla specifica sezione del Tribunale palermitano, presieduta fino a pochi mesi fa da Silvana Saguto, la giudice espulsa dalla magistratura con accuse legate proprio alle anomalie del suo ufficio. Pietro Cavallotti e i suoi fratelli lottano per riappropriarsi di aziende indebitate ormai per milioni, convinti di poter ricostruire quello che gli amministratori giudiziari hanno messo in ginocchio.