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Principi cardine dell’ordinamento nazionale come la prevedibilità e la tassatività delle norme penali non possono cedere il passo alla tutela degli interessi comunitari. È quanto affermato, nella sostanza, dalla pronuncia emessa ieri dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha corretto in particolare la precedente sentenza Taricco in materia di disapplicabilità delle norme sulla prescrizione. «Si deve dare atto alla Corte di Lussemburgo di aver saputo invertire la rotta, dietro l’illuminato impulso della Corte costituzionale italiana che le aveva rimesso la questione per un nuovo e più meditato esame», si legge in una nota diffusa dall’Unione Camere penali italiane. Secondo l’associazione presieduta da Beniamino Migliucci, infatti, la sentenza Taricco, del settembre 2015, aveva determinato «uno sfregio al principio di legalità», una lesione che «da due anni tutta l’avvocatura italiana ha combattuto».
Di fatto, se la giurisprudenza europea fosse rimasta ferma alla contestata decisione di due anni fa, si sarebbe consolidato il principio secondo cui persino su un istituto come la prescrizione possa prevalere la tutela degli interessi finanziari dell’Ue, nello specifico la repressione di “gravi frodi” in materia di Iva. Nello specifico, infatti, i due casi discussi ieri a Lussemburgo riguardavano proprio un dubbio applicativo della sentenza Taricco: i procedimenti che vedevano imputati due imprenditori italiani, uno davanti alla Cassazione, l’altro alla Corte d’appello di Milano, si erano fermati con la remissione degli atti alla Consulta proprio sulla possibilità di dare seguito alla pronuncia del 2015. In quest’ultima la Corte di Lussemburgo aveva stabilito che le norme nazionali sulla prescrizione potessero essere disapplicate dal giudice nazionale, in modo retroattivo, qualora queste dovessero impedire l’efficace attuazione dell’articolo 325 del Trattato di funzionamento dell’Ue, che impegna gli Stati ad assicurare la «efficace riscossione delle risorse dell’Unione».
«Con la pronuncia Taricco si era introdotta una indeterminatezza, una non prevedibilità della norma penale a causa d/ ella efficacia retroattiva di una norma che prevede un trattamento penale più severo», osserva il professor Vittorio Manes, responsabile dell’Ucpi per i Rapporti con l’Avvocatura e le Istituzioni internazionali. Manes ha fatto parte del collegio difensivo di una delle parti dinanzi alla Grande Sezione della Corte di Giustizia, nel quadro di un impegno che ha visto le Camere penali rappresentate a Lussemburgo dai professori Gaetano Insolera e Vincenzo Zeno- Zencovich. «La Taricco è stata aspramente criticata, innanzitutto dall’avvocatura italiana, in quanto portatrice di una rottura improvvisa e traumatica rispetto al cosiddetto diritto penale europeo. Con quest’ultima sentenza», nota Manes, «quella rottura si ricompone in una dinamica più corretta, grazie alla sollecitazione attivata dalla Corte costituzionale italiana, che aveva chiesto ai giudici di Lussemburgo una interpretazione della sentenza Taricco. Mi pare si possa parlare di un’esperienza di dialogo virtuosa», aggiunge l’avvocato che rappresenta l’Ucpi, «e di un ritorno a una dinamica fisiologica dei rapporti tra diritto dell’Ue e diritto penale interno».
E in effetti quella che il professor Manes definisce una «parziale retromarcia» della Corte Ue è dovuta «alle istanze che la Corte costituzionale aveva così efficacemente e coriacemente manifestato con l’ordinanza 24 del 2017: si tratta di una svolta da salutare con favore perché riconosce che le garanzie di legalità sono un ambito rimesso alla valutazione dei Tribunali costituzionali nazionali e del legislatore domestico, e che non possono cedere di fronte alla pretesa di efficacia e di effettività del diritto dell’Unione europea».