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Lo dice anche la Cedu: non basta l’emergenza Coronavirus per ritardare i tempi di un processo. Il caso in questione riguarda il tentativo di separazione di due coniugi, dal quale dipende anche il futuro di un bambino minorenne. Ed è per questo motivo che Strasburgo ha intimato allo Stato italiano di discutere al più presto una causa che era stata invece rinviata di sette mesi. Una decisione che potrebbe portare, in futuro, anche ad una condanna dell’Italia per i ritardi ma che, soprattutto, evidenzia lo stato di sofferenza in cui si trova la Giustizia italiana.
In attesa che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede corregga - come promesso a Cnf, Ocf, Aiga e Camere penali e civili venerdì scorso - l’articolo 83 del dl Cura Italia, riducendo così la libera scelta di singoli presidenti di Tribunale e procuratori capo su come gestire udienze e indagini in tempo di pandemia, l’avvocatura documenta, passo passo, le storture della Giustizia. Ataviche, per certi versi - basti pensare alle carenze strutturali -, ma acuite o rese abnormi dall’emergenza. Tanto che per l’Ocf si tratta di «uno dei livelli più critici della storia repubblicana». La considerazione è contenuta in un documento sulla ripresa del sistema giudiziario, con la richiesta, avanzata dall’Organismo guidato da Giovanni Malinconico, di un “Piano straordinario per la Giustizia Italiana”, in grado di interrompere la paralisi, rendendo la Giustizia accessibile e libera dalle distorsioni del sistema. Le misure di distanziamento sociale hanno imposto uno stop di oltre due mesi, che ha risparmiato solo pochissimi affari cautelari e questioni in materia di famiglia e minori per oltre due mesi. Una sospensione che nemmeno la “Fase 2” ha risolto, se è vero com'è vero che nella maggior parte dei tribunali i processi continuano ad essere ridotti all’osso e i rinvii all’ordine del giorno. Si tratta circa un decimo delle cause, il tutto senza alcuna misura di messa in sicurezza degli ambienti giudiziari né risorse a sostegno della funzione giurisdizionale.
In questo quadro, la gestione della “Fase 2” è rimasta in mano ai capi degli uffici giudiziari, che hanno prodotto oltre 300 linee guida e protocolli che hanno intasato la Giustizia, più che semplificarla, interferendo, a volte, anche «con le garanzie assicurate alle parti e alla loro difesa dalla disciplina processuale derivante dalla legge primaria». Le tecnologie non sono state d’aiuto: in primis perché comunque i cancellieri non hanno facoltà di accedere ai fascicoli da remoto, in secondo luogo per la mancanza di risorse materiali «che non consente né collegamenti di linea stabili né la presenza di personale tecnico qualificato».
Il contesto è quello della crisi che, notoriamente, fa lievitare la domanda di Giustizia e tutele. Da qui la richiesta di un intervento normativo per far ripartire la macchina giudiziaria, rispettando le indicazioni dell’autorità sanitaria, ma anche «le garanzie di tutela delle parti e delle regole del “giusto processo”». L’Ocf chiede dunque un piano e risorse per far ripartire i processi in tribunale, linee guida unitarie sul territorio nazionale, la costituzione di un tavolo unitario per la giurisdizione che garantisca l’efficacia della tutela delle parti e l’effettiva terzietà del giudice, nonché un immediato potenziamento delle strutture giudiziarie di prossimità. Ma l’intervento, per l’Ocf, dovrà avere un raggio più ampio. Con una tutela dell’avvocatura, rimasta quasi a secco di fronte alle iniziative del Governo per tamponare la crisi, e penalizzata dal blocco delle attività giudiziarie. Partendo «dall’indiscusso rilievo costituzionale della funzione dell’avvocatura», scrive l’Ocf, la professione forense va tutelata nella sua dignità, con la garanzia del «diritto all’equo compenso e di forme che rendano effettivo il diritto al pagamento degli onorari per chi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato», misure necessarie «per la tenuta della funzione sociale del difensore e del suo ruolo». Ma servono anche interventi di detassazione e di contribuzione agevolata. L’altro capitolo è quello relativo alla crisi della Giustizia, legata allo scandalo toghe, che ha messo in «serio pericolo la credibilità dell’intero apparato giudiziario». Serve, dunque, una riforma globale dell’ordinamento giudiziario, ma con il concorso dell’avvocatura - pur nel rispetto dell’autonomia della magistratura -, con la separazione delle carriere dei magistrati, «necessaria per ristabilire i principi di parità delle parti e di terzietà del giudice nel settore penale». Ma vanno anche riviste le norme sulla prescrizione e realizzate «tutte quelle misure proposte dall’avvocatura per la ragionevole durata del processo penale e per la razionalizzazione dei tempi del processo civile», con un rafforzamento della presenza della componente forense nei ruoli dirigenziali e consultivi degli apparati di governo della giurisdizione centrali e territoriali, il rafforzamento del ruolo costituzionale dell’avvocatura e l’inserimento della componente forense nei ruoli direttivi ministeriali.