La Asl vieta i colloqui all’aperto tra minori e genitori nel carcere di Rebibbia
Attualmente gli incontri nel carcere di Rebibbia sono possibili solo in stile 41 bis: attraverso un vetro o plexiglas divisorio e citofono per poter parlare
I detenuti non vedono i loro figli piccoli da mesi, la notizia si era appresa grazie a una lettera degli studenti universitari del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, indirizzata a Rita Bernardini del Partito Radicale. Su Il Dubbio la lettera è stata pubblicata a fine giugno. Il 2 luglio – come ha appreso sempre l’esponente radicale – la direttrice del carcere Rossella Santoro ha diramato un avviso a tutta la popolazione detenuta per dare la possibilità di far usufruire il colloquio visivo con la presenza di un familiare adulto e un minore di 18 anni, figlio o nipote. Ma la modalità è il colloquio stile 41 bis, ovvero con un vetro o plexiglas divisorio e citofono per poter parlare. Quella modalità che – e chi vive in carcere duro lo sa – traumatizza i figli piccoli. Sono, d’altronde, le inevitabili disposizioni che servono per evitare la diffusione del Covid 19 all’interno dei penitenziari. Eppure una soluzione ci sarebbe. Il carcere di Rebibbia Nuovo Complesso ha una area verde con tanto di sedie e gazebo, usata già per i colloqui e per garantire al meglio l’affettività. La stessa direttrice del carcere ha riferito a Rita Bernardini che a suo avviso i colloqui all'aperto – presi alcuni semplici accorgimenti - sono "sicuri" dal punto di vista sanitario, ma la Asl (per il momento) non li ha autorizzati. Non è un problema da poco il discorso della genitorialità in carcere. Il mantenimento della relazione tra un genitore detenuto e un figlio è un elemento di primaria importanza per varie ragioni: sia perché dare continuità a quelli che sono i legami familiari permette una possibilità di recidiva del detenuto tre volte minore rispetto alla rottura di tali legami, sia perché è necessario prevenire i rischi psichici e comportamentali sul bambino che le lunghe separazioni carcerarie possono creare.
La bambina che non parla più
Su Il Dubbio abbiamo raccontato la storia di una bambina di quasi due anni, traumatizzata dal giorno dell’arresto del padre. Con il passar del tempo ha dato segnali di squilibrio. Sguardo assente, problemi di deambulazione e di linguaggio. Il responso è stato scioccante, ovvero che la figlia ha subito un trauma così enorme tanto da rifiutarsi di crescere senza suo padre.La mamma non la porta in carcere, quello calabrese di Arghillà, perché poter vedere il padre senza poterlo abbracciare rischierebbe di traumatizzarla ancora di più. Storie che in realtà sono purtroppo di ordinaria amministrazione.Il diritto alla genitorialità in carcere è di vitale importanza. In America varie sono le organizzazioni che si occupano di creare programmi di sostegno alla genitorialità in carcere: ad esempio The Center for Children of Inacrcerated Parents, California, che si occupa di ricerca e formulazione di progetti a sostegno della relazione genitore detenuto e figlio e in particolar modo per rompere il ciclo di criminalità organizzata; in Canada sono state istituite dal Commisioner of the correctional service of Canada delle Visite private Familiari (Pfv) in cui si dà la possibilità alla famiglia e al detenuto di passare 72 ore ogni due mesi in una piccola struttura con due letti, bagno e cucina sempre all’interno dell’istituto penitenziario.
L'Europa avanti sulla paternità detenuta
In Europa varie sono le associazioni e i progetti di sostegno alla paternità detenuta. L’Eurochips è il comitato europeo per i bambini di genitori detenuti, è un’associazione presente in 5 paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Belgio, Italia, Olanda) che propone diverse attività di formazione, informazione e sostegno della relazione con il minore il carcere. Bambini senza sbarre, inserita dal 2001 nell’associazione europea Eurochips, propone da vari anni attività sia di accompagnamento del minore al colloquio con il genitore detenuto e sia gruppi di ascolto di padri detenuti e colloqui individuali di sostegno psicopedagogico per il genitore. Grazie a questa associazione è stato possibile adottare un protocollo d’intesa divenuto la “Carta dei figli dei genitori detenuti”.