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don Mussie Zerai
«Il numero di padre Zerai è scritto sui muri delle prigioni libiche, nei capannoni dei trafficanti, sulle pareti dei cassoni dei camion che attraversano il deserto», si legge nel libro “La frontiera”, dell’indimenticato Alessandro Leogrande. Ed è forse questo il motivo per cui la Procura di Trapani aveva iscritto il nome di don Mussie Zerai - prete cattolico e attivista impegnato a salvare i migranti nel Mediterraneo - nel registro degli indagati nell’inchiesta sulla nave Iuventa, finita nell’occhio del ciclone per le intercettazioni che hanno coinvolto diversi giornalisti e avvocati, questi ultimi “spiati” mentre svolgevano la propria funzione difensiva. Per don Zerai la procura ha chiesto l’archiviazione. L’ipotesi d’accusa, gravissima, era di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un’ipotesi, a quanto pare, infondata, basata sulle chiamate che don Zerai riceve da anni da parte di persone in situazioni di pericolo. «Ogni volta che qualcuno mi chiama - ha spiegato al Dubbio - avviso le autorità competenti, chiedendo un loro intervento per salvare quelle persone. Sia che si tratti di persone in mare, sia nei casi di centri di detenzione, ho sempre informato l’Unhcr e chiunque potesse intervenire in quella zona». Zerai, ovviamente, è stato intercettato. Anche quando parlava al telefono con il proprio difensore, Arturo Salerni, o con il senatore Luigi Manconi, all’epoca presidente della Commissione straordinaria diritti umani, al quale si rivolgeva per tutelare i migranti vittime di gravissime violazioni.
«Hanno trascritto le intercettazioni con il mio avvocato, conversazioni che non erano utili al processo - ha spiegato -. Mi chiedo perché conservarle, perché trascriverle, perché non sono state distrutte». Nel corso delle indagini, Zerai ha contattato Salerni, chiedendo di prendere contatto con la procura di Trapani, dando la propria disponibilità per essere sentito e chiarire la sua posizione. Ma il punto, spiega il parroco, è un altro: «La funzione difensiva è protetta - ha sottolineato -. In quelle telefonate avremmo potuto discutere di come impostare la difesa. Se anche quel momento viene violato è un gioco ad armi impari». Zerai è stato registrato nell'agosto 2017, quando al telefono tentava una via, assieme al proprio difensore, per dimostrare la propria innocenza. Sottolineava anche la sua convinzione che alcuni media stessero tentando di screditare il lavoro delle Ong nel Mediterraneo. Al telefono con Manconi, invece, Zerai aveva chiesto un intervento per aiutare centinaia di eritrei sfrattati da un edificio a Roma, sui quali la polizia si era accanita anche con gli idranti. «Ho chiesto che intervenisse per tutelare i loro diritti. Quelli di persone che lo Stato italiano, sulla carta, dice di accogliere e alle quali sostiene di riconoscere una protezione internazionale - ha aggiunto -. Ma la protezione non può tradursi in un abbandono totale». Zerai venne intercettato anche al telefono con Mario Morcone, all’epoca capo gabinetto del ministero dell’Interno, al quale chiedeva aiuto per i migranti lasciati per strada. La richiesta era semplice: trovare un’alternativa per sistemare quelle persone prima di procedere allo sgombero. «C’erano donne e bambini, molte famiglie, persone di una certa età, invalidi. Qando ho visto che venivano cacciati con gli idranti ho mandato un sms, anche quello trascritto, al prefetto, al capo gabinetto del ministro, dicendo: almeno trattateli umanamente» , ha aggiunto.
Zerai conosce le condizioni dei migranti in Libia, dove ci sono vari tipi di lager. Luoghi di detenzione e di tortura che rimangono sconosciuti alle delegazioni europee, che una volta sul posto vengono guidate in un tour tra i centri meno degradanti o tirati a lucido per l’occasione. Ma la realtà, spiega il parroco, è molto diversa. Il contesto è chiaro: sia l’Italia sia il resto dell’Ue, secondo l’attivista, si sforzano di impedire l’arrivo di queste persone. E poco importa in quali condizioni si trovino a “casa loro”: i loro diritti «non interessano a nessuno». Ed è così che le norme internazionali risultano valide solo sulla carta. «Convenzioni e trattati - ha aggiunto - valgono solo per chi è nato da questa parte, non per chi nasce lì. I diritti sono trasformati in privilegi. E allora non dobbiamo più chiamarli diritti: è elemosina». Gli esempi non mancano e Zerai classifica tra questi anche le parole di Mario Draghi in Libia, nonché la visita del presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del presidente del Consiglio europeo Charles Michel in Turchia. «Che ci sono andati a fare lì? - si è chiesto Zerai - A chiedere ad Erdogan di continuare a chiudere i confini e trattenere i siriani. Ma come vengono trattenuti, in che condizioni vivono, che futuro ha quella gente? Anche loro hanno diritto alla sicurezza, ad un futuro, a vivere in condizioni dignitose».
In questo panorama, si inserisce il lavoro della magistratura. Che, con le proprie inchieste, contribuisce a riscrivere le vicende, assegnando alle Ong il ruolo dei “cattivi”. «Io spero che la magistratura, che si dice indipendente, non abbia tentato di riscrivere la storia e mettersi al servizio della politica, ma abbia agito per indagare seriamente e cercare di colpire chi ha commesso un reato - ha concluso Zerai -. Le ong, che io sappia, non assecondano alcun traffico. Hanno salvato migliaia e migliaia di persone. Basta considerare solo che, da quando è stata chiusa l’operazione Mare Nostrum, se non ci fossero state le tante ong oggi i morti non sarebbero solo 40mila ma il doppio, come minimo. Il vuoto che le istituzioni hanno lasciato nel Mediterraneo, sapendo che la gente sarebbe partita comunque, è immenso. Non è colpa delle Ong se le persone partono: lo facevano anche prima. Il problema sono gli incendi, le guerre, la fame e le persecuzioni che ci sono a casa loro. L’Europa, anziché spendere miliardi per bloccare queste persone, avrebbero dovuto spenderli per bloccare le persecuzioni. E chi investiga avrebbe dovuto farlo sulle omissioni di soccorso nel Mediterraneo».