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Aveva il volto iconico di John Wayne. Ed era il ( vero) “uomo che uccise Liberty Valance”. Eppure, il merito di aver liberato, da quel pericoloso bandito, una delle tante lande desolate della “frontiera” americana, sarebbe stato attribuito ad un altro uomo. Il quale – poi divenuto senatore – non era stato l’autore dell’eroico gesto, punto di partenza della sua luminosa carriera politica, fatta di onesto servizio a favore della propria comunità. Capolavoro cinematografico, “crepuscolare”, “the man who shot Libery Valance” ( questo il titolo originale del film) è un’amara riflessione su un’eterna dicotomia. Sulla mancata corrispondenza tra quanto facciamo ( e per cui speriamo di essere ricordati) e l’immagine – spesso falsa – che gli altri hanno, o costruiscono, della nostra persona.
Nei giorni scorsi, chi scrive è stato indicato da certa stampa ( improvvisamente accortasi, tra una commemorazione della grande Queen Elisabeth e una polemica sui rubli che avrebbero finanziato la politica italiana, delle imminenti elezioni per il rinnovo della componente togata dal Csm) come l’appartenente ad una fantomatica “lista Ferri”. Oppure, ancor più sbrigativamente, come uno “mandato avanti” dal magistrato e parlamentare della lunigiana. E tale etichetta, di “finti indipendenti” è stata, del pari, affibbiata ad un gruppo di magistrati – includendovi persino uno sorteggiato per legge ( evidentemente anche la dea bendata ha simpatie ferriane…) – che hanno ritenuto di “apparentarsi” per proporre le rispettive candidature direttamente ai propri colleghi, nello spirito della nuova legge elettorale. Così liberandosi dal peso delle nomenclature correntizie e dei loro sempiterni “bilanciamenti” e “mediazioni”.
Conosco Cosimo Ferri da lunga data. Ed ho già dichiarato che è un mio caro amico, avendo condiviso con lui l’esperienza della preparazione del concorso in magistratura e l’esercizio delle funzioni giudicanti di merito nello stesso distretto di Corte di appello, quello di Genova, ove entrambi abbiamo mosso i primi passi nell’associazionismo giudiziario. Ma poi le nostre strade si sono diversificate, visto che da circa un decennio io svolgo le mie funzioni presso la Cassazione, mentre Cosimo ha ricoperto incarichi in ambito politico, che lo hanno portato a sostenere – tra l’altro – il sorteggio integrale dei componenti togati del Csm.
Non ne rinnegherò mai l’amicizia – come hanno fatto, invece, in tanti ( more solito, i più beneficiati, in passato, dalla sua vicinanza), nella corrente di “Magistratura indipendente” – per il timore di perdere, mi sembra proprio il caso di dirlo, “un pugno di voti”. Ma io – ed è persino strano doverlo dire – sono io, non una sua controfigura. Che piaccia o no, ho una mia storia professionale, al pari, del resto, di quanti si sono candidati come indipendenti, da soli o collegati tra loro, indicati anch’essi, invece, quali esponenti della “Ferri’s list”. E ciò per il solo fatto di essere iscritti – o di esserlo stati – alla corrente che fu guidata, ancor prima che da Cosimo, da suo padre Enrico. Senza, quindi, considerare che già per tale ragione è abbastanza difficile trovare – al netto di improvvisi e spesso goffi camouflage – esponenti di Magistratura indipendente, anche nell’apparato che guida oggi la corrente ( e che ritiene quel marchio non più cool), privi di rapporti col “ferrismo”.
È, dunque, solo sulla rispettiva storia professionale – e sulle idee e proposte che ciascuno ha illustrato ai colleghi elettori, nel corso di questa breve, ma intensa, campagna elettorale estiva – che ogni candidato ha il diritto di essere valutato. Senza che siano sollevati strumentali polveroni, simili a quelli che avvolgevano le diligenze dei film western e che in questo caso – tale è il mio personale auspicio – accompagneranno al capolinea i carrozzoni degli apparati correntizi. Grottesca e anacronistica caricatura di quelle che furono, invece, le nobili protagoniste di una fervida fase – ahinoi passata – dell’associazionismo giudiziario. Ma anche senza l’intervento di improvvisati “cecchini”, dai quali – sebbene immancabili in certo cinema di genere – si spera che la magistratura possa essersi, finalmente, liberata.
STEFANO G. GUIZZI
* Consigliere della Corte di Cassazione