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L’avvocata Emilia Rossi, ex componente del Collegio del Garante nazionale delle persone private della libertà, ha iniziato lo sciopero della fame nell’ambito del Satyagraha di Nessuno Tocchi Caino. Un gesto significativo visto la sua lunga esperienza sul campo. Ne parliamo con lei.
Cosa l'ha spinta a prendere parte al Satyagraha di Nessuno Tocchi Caino dopo la sua lunga esperienza nel Collegio del Garante nazionale?
Ritengo che uno Stato responsabile debba farsi carico delle situazioni d’emergenza: quella delle carceri italiane è una situazione d’emergenza che non può attendere i tempi di grandi riforme o della realizzazione di progetti edilizi ma richiede provvedimenti immediati e urgenti. Il sovraffollamento è arrivato quasi al 128%, con oltre 13.000 persone detenute in più rispetto ai 47.300 effettivi posti disponibili. Rispetto a venerdì scorso, quando erano 13 le persone che si sono tolte la vita in carcere dall’inizio dell’anno, si sono avuti altri due suicidi nella giornata di sabato: siamo a 15 suicidi in 34 giorni, una media di uno ogni due giorni, in un crescendo angosciante che appare inarrestabile. L’esperienza di conoscenza e di responsabilità che ho maturato negli oltre sette anni di componente del Collegio del Garante nazionale mi fa sentire quanto mai necessaria la ricerca di dialogo con le Istituzioni del nostro Paese perché si arrivi a mettere un argine a questo quadro drammatico, individuando gli strumenti necessari a segnare una netta inversione di tendenza. Questo è il motivo per cui ho ritenuto di dare il mio contributo all’iniziativa nonviolenta promossa da Nessuno Tocchi Caino, unendomi per tre giorni allo sciopero della fame che Rita Bernardini e Roberto Giachetti conducono dal 23 gennaio, finalizzata a ottenere l’attenzione della presidente del Consiglio.
Come descriverebbe l'evoluzione della situazione carceraria nel corso del suo mandato?
Posso dire che è stata un’evoluzione a fasi alterne: partita in un momento di particolare attenzione e sensibilità della politica, delle Istituzioni, della comunità giuridica, non solo verso la situazione carceraria ma anche riguardo ai temi più generali dell’esecuzione penale, ha vissuto l’alternarsi di diversi orientamenti che hanno segnato battute d’arresto su quel cammino di progressione che pareva avviato, recuperate in parte solo grazie all’ostinato mantenimento di quella cultura dei valori della legalità della pena, intimamente connessa alla sua finalità risocializzante, cui il Garante nazionale ha fortemente contribuito con il suo lavoro. Oggi, però, la situazione appare particolarmente difficile e tornata a tempi che si credevano superati.
Durante l'intervento alla conferenza stampa di Nessuno Tocchi Caino, lei ha evidenziato il problema del sovraffollamento. Quali proposte o soluzioni suggerisce per affrontare efficacemente questa situazione?
Servono innanzitutto provvedimenti immediati di deflazione della popolazione detenuta come quelli adottati dal governo dopo la sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo che l’ 8 gennaio 2013 condannò l’Italia proprio per le condizioni di sovraffollamento delle carceri, molto vicine a quelle attuali, riconoscendo la violazione dell’art. 3 della Cedu che vieta i trattamenti inumani e degradanti. Con il decreto legge n. 146/ 2013, non a caso intitolato ‘ misure urgenti in materia di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria’, con il quale si è anche istituita la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, oltre al potenziamento delle misure alternative alla detenzione è stata prevista, sia pure per il tempo limitato di due anni, l’estensione a 75 giorni per ogni semestre di pena scontata della detrazione per la liberazione anticipata, normalmente di 45 giorni. Queste misure ridussero immediatamente il sovraffollamento carcerario di circa 10.000 detenuti, passando dai 62.536 della fine del 2013 a 53.623 alla fine del 2014. La media di 55.000 persone detenute negli Istituti rimase stabile nei successivi anni, almeno fino al 2018, come si può rilevare nei dati pubblicati nella Relazione al Parlamento del Garante nazionale dei trascorsi sette anni. Proprio a questi provvedimenti abbiamo fatto esplicito riferimento, infatti, con l’ultimo comunicato stampa del Collegio del Garante nazionale oggi non più in carica, il 15 gennaio scorso, richiamando anche la necessità di avviare in tempi rapidi la previsione normativa che consenta una modalità diversa di esecuzione delle condanne a pene brevi, inferiori ai due anni di reclusione, che oggi interessano circa 4000 persone detenute, realizzabile anche con il recupero di strutture demaniali esistenti che, non dovendo assumere le caratteristiche strutturali e di risorse di personale tipiche delle strutture penitenziarie, potrebbe essere decisamente più rapido e praticabile della costruzione di nuove carceri o della trasformazione in Istituti penitenziari di altri edifici pubblici.
Ha anche menzionato l'aumento dei suicidi, criticando la percezione di ineluttabilità. È una chiara critica alle recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia.
Credo che il Ministro si sia espresso senza tenere conto delle effettive proporzioni del fenomeno in atto nelle nostre carceri, come se si trattasse di fatti episodici rispondenti all’ineluttabilità di scelte drammatiche che possono riguardare ogni essere umano, detenuto o libero che sia. Anche il richiamo al ‘ trauma da detenzione’ che può colpire chi entra in carcere non considera il fatto che nella maggioranza dei casi i suicidi vengono messi in atto a distanza dall’inizio della detenzione e, soprattutto, dei casi di suicidio di persone che stanno per uscire dal carcere. Tra i morti di gennaio tre persone si trovavano in questa situazione, una sarebbe uscita entro un mese, due a metà dell’anno. L’aumento del numero dei casi di suicidio, non soltanto rispetto allo scorso anno, quando nel mese di gennaio si tolsero la vita 3 persone, ma soprattutto rispetto al 2022 che si chiuse con il totale di 85 morti per suicidio, mai visto nei decenni precedenti, è estremamente preoccupante in termini prognostici: se si mantiene questo andamento si rischia, appunto, di superare del doppio il terribile record di quell’anno, considerato che i suicidi del gennaio di quest’anno sono una volta e mezzo quelli del gennaio 2022, 13 contro 8. Quando si verificano 15 suicidi in un mese, con una frequenza costante in diverse carceri italiane, emerge un problema sistemico evidente. Il sistema carcerario presenta un difetto che le istituzioni devono riconoscere e affrontare rapidamente, con determinazione e coraggio, anche se ciò comporta impopolarità. È essenziale contrastare la cultura carcerocentrica radicata nell'opinione pubblica da anni e guidare un cambiamento culturale attraverso azioni politiche tempestive ed efficaci.
A proposito delle istituzioni, con il passaggio di consegne al nuovo collegio del Garante nazionale, avete trasmesso il vostro bagaglio di conoscenze? È cruciale garantire la continuità con il vostro lavoro.
Credo che ogni Istituzione che abbia connotati di continuità per i requisiti di indipendenza e di autonomia dal potere politico dettati dalla legge, come sono le Autorità di garanzia, assicuri tale continuità, nel cambiamento degli organi apicali, con il patrimonio del lavoro prodotto. Noi abbiamo costruito e lasciato uno staff estremamente qualificato nelle materie che compongono l’ampio mandato del Garante nazionale e una poderosa produzione di atti istituzionali – pareri su proposte di legge, atti di intervento presso le Alti Corti, Raccomandazioni formulate in base alle attività di visita, Relazioni al Parlamento – che sono il risultato dei sette anni di esperienza, di arricchimento di conoscenze e di affermazione del ruolo istituzionale. Questi sono sicuramente i migliori strumenti di trasmissione del patrimonio di conoscenza che tutti quanti, Collegio e staff, abbiamo acquisito all’Istituzione.