PHOTO
La stretta sulle intercettazioni c'è. «Il pm che non rispetta l'obbligo di vigilare sugli ascolti rischia l'illecito disciplinare», spiega al Dubbio Felice Casson, senatore del Pd, ex pm e relatore della riforma.Un passo avanti verso la disciplina del più delicato tra gli strumenti d'indagine: può essere definito così il testo approvato all'una meno venti di lunedì notte dalla commissione Giustizia del Senato. Si tratta della delega sulle intercettazioni contenuta nel più ampio disegno di legge che riforma il processo penale. Ddl che la commissione presieduta da Nico D'Ascola ha definitivamente licenziato, con tanto di mandato ai relatori: Casson, appunto, e Giuseppe Cucca, sempre del Pd. Il testo comprende anche una delega sulla riforma dell'ordinamento penitenziario e le ormai celebri modifiche sulla prescrizione. Domattina si va in aula, con la relazione e l'inevitabile rinvio della discussione all'8 settembre. «Ma rispetto all'articolato uscito da Montecitorio il lavoro fatto finora in Senato è stato tutt'altro che notarile», osserva D'Ascola, «il testo era complesso, molto difficile, e lo abbiamo integrato in diversi punti: ci sarà modo di apprezzare la quantità e la qualità degli interventi compiuti».Rischi per i pm che violano la privacyNel fotofinish di lunedì notte si è sciolto dunque il nodo delle intercettazioni con un testo frutto del confronto tra Pd e Ncd. Sancito l'obbligo per i pm di evitare che gli agenti di polizia giudiziaria trascrivano le conversazioni «non pertinenti all'accertamento delle responsabilità per cui si procede», o che riguardino fatti e persone estranei alle indagini. Quel materiale resterà solo sui "nastri", niente brogliacci, e sarà semplicemente catalogato con numeri progressivi. Successivamente si procederà alla distruzione di queste registrazioni ritenute irrilevanti: lo si farà davanti al gup nella cosiddetta "udienza filtro", già prevista dall'articolo 268 del codice di procedura penale. Ma è evidente che la selezione e l'esclusione degli ascolti che violano inutilmente la privacy dovrà avvenire prima. E che a vigilare sulla selezione sarà il pm che conduce le indagini. E questo, come spiega Casson, «è per il magistrato inquirente un obbligo: se non lo rispetta, il procuratore capo può ravvisare l'illecito e trasmettere gli atti ai titolari dell'azione disciplinare: il ministro della Giustizia e il procuratore generale presso la Cassazione». È vero che già esistono specifiche fattispecie di reato per chi viola il segreto d'indagine: ma i rischi per il magistrato introdotti dalla delega sono effettivamente delle novità. «Paletti rigidi, che abbiamo indicato a tutela della riservatezza, senza limitare lo strumento d'indagine», dice Casson.Dalle circolari a una legge veraSi tratta ancora della delega, cioè del perimetro entro cui il governo dovrà poi scrivere la legge vera e propria. Ma l'indicazione è specifica, e va oltre le circolari diffuse nei mesi scorsi da molti procuratori capo, poi riordinate dalla recente delibera del Csm. «Prima erano 3, poi sono diventate 4, poi 19: ma quelle circolari», osserva ancora Casson, «non coprivano comunque tutto il territorio nazionale. E soprattutto non costituivano un obbligo giuridicamente vincolante: noi lo abbiamo sancito».Significativo che proprio l'ex pm Casson precisi in modo così chiaro il peso delle norme approvate in Senato. Ora serve il sì della Aula, l'ulteriore via libera della Camera e poi i decreti delegati: ma se le nuove regole diventeranno legge sarà quasi impossibile che ai giornali arrivino intercettazioni invasive e prive di valore processuale: "sputtanopoli" subisce un duro colpo. In ogni caso «il ministro Orlando si confronterà con editori e direttori di giornali prima di scrivere i decreti», spiegano da via Arenula.La polemica di M5s su trojan e cimiciPrecisata meglio la "norma D'Addario": «È punito chi acquisisce dichiarazioni o immagini della persona offesa al solo fine di danneggiarne la reputazione», ma non vale per chi esercita il diritto di difesa e il diritto di cronaca. Polemiche urlate dei cinquestelle, Mario Giarrusso in testa, sull'uso delle intercettazioni ambientali, quelle con le "cimici" tradizionali, e sulle regole per la captazione con i "trojan", i virus installati dagli inquirenti sui telefonini degli indagati. Sdoganato di recente dalla Cassazione, il sistema trasforma in vere e proprie microspie audio-video gli stessi cellulari dei presunti criminali. Ai grillini Cappelletti e Giarrusso non piace che le informazioni così acquisite «possano essere utilizzate anche in procedimenti diversi» solo nel caso dei delitti più gravi. E che per gli altri reati i trojan possano entrare in gioco anche nel domicilio privato solo se «vi si stia svolgendo l'attività criminosa». Con un notevole salto logico, Giarrusso parla di «bavaglio». Casson liquida: «Giarrusso non ha letto bene il testo».