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Indignazioni, improbabili programmi come quelli condotti da Massimo Giletti, interrogazioni parlamentari e infine le dimissioni del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ( Dap) Francesco Basentini, tutte concentrate sulla detenzione domiciliare concessa a Pasquale Zagaria recluso al 41 bis del carcere di Sassari. L’accusa principale al capo del Dap è quella di aver risposto in ritardo per trovare un centro clinico adeguato per il detenuto pieno zeppo di patologie. Ma quelli che ora si stracciano le vesti, sono gli stessi che si sono disinteressati del grave problema riguardante l’assistenza sanitaria per i detenuti della regione Sardegna, compreso appunto coloro che sono in regime di alta sicurezza o al 41 bis. S ono reclusi per reati di mafia, in quel caso il diritto alla salute diventa un optional e, tranne questo giornale, a nessuno è interessato. Ma il paradosso è che ora però si ricordano del problema sanitario nelle carceri quando un giudice, per salvare la vita di un detenuto, concede la detenzione domiciliare per curarsi meglio. Fin dal 2017, il garante nazionale delle persone private della libertà aveva posto l’attenzione proprio sulla Sardegna. Lo ha ricordato oggi tramite il suo bollettino settimanale. Già nel 2017, in un Rapporto inviato all’Amministrazione penitenziaria dopo una visita regionale in Sardegna e successivamente pubblicato sul sito, il Garante aveva evidenziato «l’esigenza di avere nella Regione [Sardegna] almeno un servizio di assistenza intensiva (Sai) in grado, in base alle caratteristiche strutturali, di proporre assistenza sanitaria ospedalizzata, seppure per brevi periodi, alle persone detenute in regime di alta sicurezza o in regime speciale ex articolo 41-bis o.p.». A tal fine aveva formulato la seguente Raccomandazione (tenendo in conto la presenza nella regione rispettivamente di 520 e 90 persone detenute in AS o in regime speciale): «Il Garante nazionale raccomanda al Provveditorato regionale di provvedere con urgenza ad attivare un Servizio di assistenza intensiva (Sai) in grado di rispondere alle esigenze di tutela della salute di tutte le persone detenute nella Regione, compresi coloro che sono in regime di alta sicurezza o in regime ex articolo 41-bis o.p., attraverso la stipula di un protocollo con l’Azienda per la tutela della salute (Ats) della Regione. Chiede di essere tempestivamente informato sia dell’avvio di tale interlocuzione con le autorità sanitarie sia delle conseguenti scadenze concordate per la risoluzione del problema». Purtroppo, tuttavia, non era seguita risposta alcuna da parte dell’Amministrazione. Come se non bastasse, in un Rapporto tematico sul 41 bis, il Garante aveva osservato le difficoltà di traduzione di una persona detenuta in alta sicurezza o in tale regime speciale laddove non esistesse un Sai che garantisse tutela della salute e sicurezza. Si legge in quel Rapporto: «è il caso della Sardegna, ove non è disponibile un Sai che possa essere utilizzato a tutela della loro salute, giacché quello dell’Istituto di Sassari – strutturato originariamente per tale popolazione detenuta – è stato recentemente trasformato in un Centro di osservazione psichiatrica e l’unico altro Sai della Regione, che si trova nell’Istituto di Cagliari-Uta, è riservato al circuito della media sicurezza».Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – fa sapere Il garante Mauro Palma tramite il bollettino odierno - aveva risposto relativamente alle traduzioni in termini generali citando l’estrema rarità della ipotesi prospettata dal Garante. Proprio per questo, il tema era stato ribadito nel Rapporto redatto a seguito della visita condotta nel luglio 2019 e il Garante nazionale, richiamando la Raccomandazione già formulata nel 2017, aveva rilevato come la peculiarità della collocazione delle persone detenute in alta sicurezza in Istituti della Sardegna potesse rischiare di determinare la compressione di un diritto fondamentale, quale il diritto alla salute.Nessuno si è indignato. Anzi, L’Espresso – lo stesso giornale che ha dato l’avvio all’indignazione – ha più volte scritto che il carcere modello per il 41 bis è proprio quello di Sassari. Dimenticandosi probabilmente che, oltre a vivere sotto terra, l’assistenza sanitaria per i reclusi al 41 bis con patologie gravi è inesistente.