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Attacco inaccettabile ai principi di libertà, autonomia ed indipendenza dell’avvocato. Il Coa di Napoli «esprime disagio» per il trattamento riservato al proprio iscritto Francesco Fimmanò, coinvolto in una inchiesta della procura partenopea, diretta dal pm Henry John Woodcock, sull’università telematica Pegaso. Due mesi fa Fimmanò, direttore scientifico e direttore della scuola di specializzazione di Pegaso, ha subito nel cuore della notte il sequestro di documenti, pc, tablet e smartphone. L’avvocato si lamentò del fatto di essere stato perquisito in pigiama e a piedi scalzi. Secondo gli inquirenti, nell’università online si sarebbero consumati alcuni episodi di corruzione in merito ad una procedura amministrativa finalizzata alla trasformazione di Pegaso da fondazione e società di capitali con un successivo parere non negativo del Consiglio di Stato. Nella ricostruzione di Woodcock è stato tirato in ballo il Consigliere di Stato Paolo Carpentieri per aver intrattenuto rapporti accademici e scientifici con Unipegaso. L’inchiesta della procura di Napoli si è schiantata contro le motivazioni del Tribunale del Riesame, che con ordinanza dello scorso 22 marzo ha annullato il sequestro ai danni di Fimmanò e ha stigmatizzato la scarsa collaborazione degli inquirenti. Il pm, infatti, non ha trasmesso al Riesame tutta la documentazione utilizzata per compiere le indagini ed emettere gli atti successivamente annullati. I giudici del Riesame, presieduti da Alfonso Sabella, rilevano che il sequestro ha trovato «scaturigine in ipotesi investigative frutto di palesi equivoci, di errate ricostruzioni e di contraddizioni logiche». Ancora più netto un passaggio in cui si afferma che il sequestro di carte ed apparecchiature informatiche del professor Fimmanò ha avuto «quella valenza meramente esplorativa che certamente si colloca al di fuori del sistema disegnato dal codice di rito». Woodcock, dunque, è stato sconfessato su tutta la linea. Le decisioni del Riesame preoccupano non poco l’Ordine degli avvocati di Napoli. «L’indagine e l’iniziativa cautelare che hanno interessato Fimmanò», evidenzia il Coa, «risultano strettamente connesse allo svolgimento dell’attività professionale in forza di un legittimo incarico di prestazione d’opera, finendo con il ledere i principi di libertà, autonomia ed indipendenza dell’avvocato ed il ruolo e la funzione del difensore». L’inchiesta UniPegaso, smontata dal Riesame, fa preoccupare gli avvocati napoletani per i sospetti addensatisi su accademici e professionisti. Il segmento di motivazione del Tribunale del Riesame sottolinea che «quello che emerge dagli atti è l’esistenza di un confronto ermeneutico che si è sviluppato secondo le normali fisiologie che caratterizzano quella specifica tipologia di attività amministrativa in cui nessuno dei protagonisti ha posto in essere comportamenti illeciti ovvero contrari ai propri doveri di ufficio». A dispetto dell’ipotesi accusatoria, è stato dato atto dell’assoluta linearità e trasparenza della condotta del professionista nell’esercizio del mandato difensivo. Fimmanò, tra l’altro, è il legale di fiducia dell’università telematica Pegaso. «La vicenda del professor Fimmanò – dice al Dubbio Antonio Tafuri, presidente del Coa di Napoli -, al di là del caso specifico e del clamore dovuto alla notorietà dell’iscritto, ha suscitato nel Foro un vero e proprio allarme, perché all’esito di ipotesi accusatorie che il Tribunale del Riesame ha ritenuto palesemente errate e al di fuori delle regole processuali, la Procura sembra aver messo sotto indagine il mandato difensivo e l’attività professionale svolta dall’avvocato. È ineludibile il richiamo dei principi cardine della professione forense, ossia l’indipendenza e l’autonomia, messi talvolta pesantemente in discussione, ed è necessario respingere con forza ogni atto e comportamento che possa influenzare le scelte libere e autoresponsabili dell’avvocato». Il Coa è preoccupato per il clima che è venuto a crearsi e chiede agli organi inquirenti rispetto per la classe forense e per la funzione del difensore. «L’operato di chi indaga – conclude Tafuri – non deve ispirarsi ad inconsistenti ed apodittiche ipotesi accusatorie rivolte all’attività professionale degli avvocati. Va evitato un grave e difficilmente sanabile conflitto tra le due istituzioni, che devono, invece, concorrere al mantenimento dell’ordine sociale e al perseguimento della giustizia».