Il tribunale di sorveglianza di Perugia nei giorni scorsi ha rigettato il reclamo del Pubblico ministero e dell’Amministrazione penitenziaria con cui il magistrato Fabio Gianfilippi di Spoleto, disapplicando una circolare dell’amministrazione penitenziaria, consentiva a un detenuto in 41 bis nella casa circondariale di Terni di svolgere un colloquio con il Garante regionale delle persone private della libertà senza il vetro divisorio, senza controllo uditivo e senza che fosse computato nel numero massimo di quelli consentiti con i familiari. In sintesi, il tribunale ha dato ragione al magistrato di sorveglianza di Spoleto che ha consentito ai detenuti del carcere duro di effettuare colloqui riservati con i garanti regionali e locali, finora prerogativa solo del Garante nazionale dei detenuti e avvocati. Una sentenza di questo genere, però, ha destato numerose polemiche. A partire, secondo il Fatto Quotidiano, dai magistrati antimafia. Il motivo? Viene evocata l’annotazione del Pm di Perugia che aveva fatto reclamo poi respinto - alla decisione del magistrato Gianfilippi: «C’è il pericolo che attraverso il garante territoriale, ci possano essere collegamenti all’esterno con il sodalizio di appartenenza».

Si tratta della tesi presa in prestito dall’articolo de Il Fatto Quotidiano. «Si potrebbe immaginare – scrive il quotidiano diretto da Marco Travaglio - un garante dei detenuti nominato dal consiglio di Corleone o di Casal di Principe che vanta gli stessi diritti del garante dell’Umbria, del Lazio o della Calabria». In soldoni, secondo questa tesi, i garanti possono potenzialmente fare da tramite tra i boss al 41 bis e le organizzazioni criminali di appartenenza. Come se non bastasse, sempre su Il Fatto, non avendo precedenti da citare, è stato citato l’ex Garante dei detenuti della regione Lazio Angiolo Marroni, reo di conoscere Salvatore Buzzi. « Per me è una calunnia nei confronti del mio predecessore – spiega a Il Dubbio il garante regionale Stefano Anastasìa, colui che per primo sollevò la questione del diritto ai colloqui ri- servati al Dap -, perché Marroni è stato chiamato a testimoniare nel processo “mafia capitale” e non è mai stato indagato. Quel sospetto buttato nell’articolo come la storia della colonna infame di Manzoni- continua Anastasìa -, è una calunnia vera e propria. Come disse anche Luigi Manconi, tutti coloro che si occupano del carcere hanno avuto dei rapporti con Buzzi e questo non significa essere parte di un sodalizio criminale».

Sempre nell’articolo de Il Fatto Quotidiano viene evocato un altro caso. Quello riguardante la moglie del boss al 41 bis Madonia che avrebbe portato ordini all’esterno. «Ecco – spiega il Garante regionale -, non mi pare che la moglie ricopra il ruolo di Garante dei detenuti e soprattutto non svolgeva colloqui riservati. A che titolo viene evocato questo caso?».

Ma ponendo per assurdo che un garante locale sia stato eletto da un’assemblea politica attigua alla mafia locale, il rischio è concreto che faccia da tramite con i detenuti al 41 bis? A rispondere è sempre il Garante regionale Anastasìa. «Assolutamente no, anche perché laddove possano esserci rischi di condizionamento tra le organizzazioni criminali e gli enti locali, il pericolo non esiste perché tutti sanno che le persone che hanno legami con le organizzazioni criminali non sono detenuti nel territorio di appartenenza». Anastasìa, essendo garante della regione Lazio e Umbria, assicura che quelli al 41 bis, sono detenuti che provengono da altre regioni.

C’è poi un secondo articolo de Il Fatto quotidiano dove viene intervistato l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti che si dice contrario ai colloqui riservati sempre per il discorso che i garanti locali possono fungere da tramite. Sempre Anastasìa spiega a Il Dubbio: «Nella migliore delle ipotesi a noi garanti ci si dà degli ingenui, ovvero che siamo un veicolo per i messaggi mafiosi. Non è bello che lo dica un Pm come nel caso del tribunale di Perugia e non è assolutamente bello che lo dica un ex procuratore nazionale antimafia. Sono persone che ricoprono ruoli istituzionali – chiosa il Garante -, se hanno degli estremi che lo certifichino e lo segnalino per chiedere un commissariamento!». Sempre Roberti, nell’intervista, si dice favorevole ai colloqui dei Garanti con i detenuti, ma che non siano riservati. «Ma è importante che siano riservati – continua Anastasìa -, perché noi abbiamo il compito di ascoltare i reclami dei detenuti. Un detenuto al 41 bis deve avere la possibilità di denunciare eventuali abusi ed è ovvio che deve essere riservato senza che i comandanti di reparto o direttore penitenziari lo sappiano immediatamente». Si tratta di una questione elementare stabilita dal diritto. «Non a caso – sottolinea il garante – nell’articolo 35 dell’Ordinamento penitenziario viene stabilito che i detenuti, compresi quelli al 41 bis, possono inviare ai garanti i reclami in busta chiusa e senza essere visionata. Quindi eliminiamo anche questo articolo, visto che anche in questo caso la corrispondenza è riservata? In nome del sospetto chiudiamo tutti i rubinetti e creiamo un regime di polizia?».