«La situazione dei carcerati in Italia è impressionante. Molto si è scritto. Ora occorre agire». A dirlo è il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, intervenuto dopo la rivolta nel penitenziario della città. Si tratta, dice, di «aprire il confronto e agire subito per allentare la disperazione nei carcerati e la fatica immane del personale che lavora nelle carceri: personale che non possiamo abbandonare nella gestione di tensioni esplosive e ingestibili».

Il vescovo analizza la situazione nelle carceri: «Il sovraffollamento cronico, l’inadeguatezza strutturale di molte carceri, la mancanza di personale a tutti i livelli (dalla polizia penitenziaria, agli amministrativi, dagli educatori ai direttori…) sono solo alcuni dei macro problemi che si intrecciano. Purtroppo il sovraffollamento (per cui nel 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani, per la violazione dell'art. 3, sul divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti), l’inadeguatezza delle strutture e la impossibilità di sanificarle (ecco la presenza delle cimici che non si riescono a debellare), la mancanza del personale rendono le pene inumane. Il caldo in strutture sovraffollate rende tutto ancora più esasperante».

Monsignor Trevisi analizza anche il dramma dei suicidi nelle carceri: «Ci dice che i detenuti sono più esposti alla disperazione, paradossalmente anche quando si avvicina la loro scarcerazione (quali speranze di ripresa può coltivare chi non ha avuto la possibilità di prepararsi una condizione di vita extra- carcere - un alloggio, un lavoro - che renda “sensato” l’impegno di non commettere più altri reati?). Parliamo di persone che hanno sbagliato, e i reati commessi vanno perseguiti.

Ma, appunto, parliamo di persone, la cui dignità umana permane, una dignità ferita, per la quale occorre impegnarsi in processi di riabilitazione- rieducazione e, dove possibile, di riparazione in favore delle vittime e delle comunità. Non dimentichiamoci delle possibilità della “giustizia riparativa”, che è una opportunità importante introdotta dalla “riforma Cartabia” (d. lgs 150, del 10 ottobre 2022) per restituire dignità e cittadinanza non semplicemente “pagando” ma ricostruendo quel che, violando persone o beni, è stato infranto. La pena, da sola, non incide sulla recidiva né sulla sicurezza: deve essere accompagnata da forme attive di impegno, da esperienze capaci di trasformare e di prendere le distanze dal male compiuto, capaci di rigenerare la capacità di contribuire al bene comune».