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Se Ilda Boccassini si fosse limitata esclusivamente alla sua lunga avventura giudiziaria contro Berlusconi, avrebbe sicuramente ricevuto appezzamenti unanimi dalla sua categoria, quella della magistratura. Ha avuto la pecca di raccontare, nel suo libro (edito da Feltrinelli) “La stanza numero 30”, il vissuto nell’ambiente delle procure di Caltanissetta e Palermo, periodo che l’ha particolarmente segnata nella sua vita. Ha avuto l’ardire di puntare il dito contro il “sistema” che, a differenza di quello denunciato dal libro di Palamara, ha la terza gamba: quella mafiosa.
Il coraggio di dire che hanno ostacolato Falcone quando era in vita
Leggendo il suo libro, passaggio dopo passaggio, mette a nudo sé stessa. Dietro la sua durezza, a volte sgarbata, c’è invece una donna con tutte le sue vulnerabilità. Il suo “cattivo carattere” è stato una protezione, ma anche la sua salvezza dall’inevitabile cedimento ai palcoscenici, ai legami con i giornalisti e alle tentazione del potere. Ma lei, da come si evince dal suo racconto, è istintiva, non asseconda, ha avuto il coraggio di dire in faccia ai suoi colleghi, anche amici se pensiamo al pool di mani pulite (avevano mandato a Falcone una richiesta di rogatoria per la Svizzera senza gli allegati), che hanno ostacolato il giudice quando era in vita. Con un atto di ribellione aveva stracciato la tessera di Magistratura democratica.
Boccassini non è mai salita sul carro dei vincitori
È di sinistra Boccassini. Non lo ha mai nascosto e si è visto quanto l’ideologia possa rendere non imparziale l’agire. Lei non ne è stata immune. Ma nello stesso tempo, le va riconosciuto che non ha fatto parte di alcuna cricca e cricchetta. Non è mai salita sul carro dei vincitori. Lei, a differenza di altri miti di carta, non ha fatto carriera. È entrata e uscita in punta di piedi dalla sua stanza numero 30 della procura di Milano, da semplice pubblico ministero. Mai nessuno ha avuto il coraggio di togliersi qualche sassolino dalle scarpe in questo modo. Ma più che sassolini si tratta, in realtà, di macigni. Non ha nulla a che fare con quelli che hanno avuto un potere che tuttora gli rimane incollato grazie alle pubbliche apparizioni televisive.
Mette in guardia i giovani da taluni paladini antimafia
Lei, nel libro, ha messo in guardia i giovani da taluni paladini antimafia, presunti eredi di Giovanni Falcone, ma che in passato l’ostacolavano. Lei stessa, raccontando i suoi trascorsi lavorativi con Falcone ( prima tra tutti l’inchiesta “Duomo Connection”) che si sono trasformati in una forte amicizia (non nascondendo il suo innamoramento verso quel grande uomo), è testimone di tante e dolorose confidenze ricevute, delle persone e dei colleghi di cui – scrive nero su bianco - «aveva letteralmente paura». Prosegue: «Potrei raccontare di segreti che mi ha confidato, ma non lo farò, non voglio farlo e tutto resterà chiuso nella mia memoria e nel mio cuore». E aggiunge: «Quanto ho disprezzato, in questi anni, gli omuncoli che hanno mentito raccontando o riferendosi a fatti mai accaduti e circostanze di assoluta fantasia, certi di non essere smentiti da un morto».
Testimone dei fatti che Falcone scriverà nei suoi diari
Ilda Boccassini è testimone di quello che poi Falcone stesso scriverà negli appunti del suo diario, quello pubblicato dalla giornalista Liana Milella del Sole 24ore. Gli stessi diari che visionerà Paolo Borsellino, altro grande magistrato che si è ritrovato in solitudine, nella morsa della procura palermitana. Ricordiamo le sue parole, qualche giorno prima di essere stritolato in Via D’Amelio: «Non sarà la mafia ad uccidermi, ma saranno i miei colleghi e altri che lo permetteranno». Se prima Boccassini ha conosciuto indirettamente - grazie alle confidenze di Falcone - l’aria irrespirabile delle procure siciliane, dopo la vivrà in prima persone come applicata, per indagare sulle stragi. In principal modo quella di Capaci. Non le è stata facile quella scelta. Ha dovuto abbandonare per un lungo periodo i figli, il compagno, la sua famiglia. E qui, ancora una volta, mette allo scoperto la sofferenza che diamo quasi per scontato come non possa colpire lei, una donna che si è sempre mostrata dura. Ma ora sappiamo che si è trattato di una corazza per proteggersi. E in Sicilia, quella corazza si è dovuta rafforzare ancor di più.
Non ha mai creduto alle parole di Scarantino
La vicenda Scarantino è nota. Parliamo del più grande depistaggio della storia giudiziaria di questo Paese, sentenza sigillata definitivamente dalla Cassazione qualche giorno fa. Un depistaggio - quello che aveva fatto condannare persone innocenti per la strage di Via D’Amelio - facilitato anche grazie all’incompetenza (e forse qualcosa di più) dell’allora procura nissena sorretta da Tinebra. Una vicenda già sviscerata, ma Ilda Boccassini si è tolta altri sassolini dalle scarpe. Ribadisce ciò che è stato chiarito nel Borsellino Quater: lei non solo disse che Scarantino era un ciarlatano ma, insieme al suo collega Roberto Saieva, lo ha cristallizzato attraverso due relazioni. Aggiunge un altro particolare, cristallizzato già nell’archiviazione della procura di Messina nei confronti dei magistrati indagati per depistaggio. Sappiamo che Gaspare Spatuzza si pentì, svelò la sua partecipazione all’attentato e sconfessò le ricostruzioni di Scarantino.
Le discussioni per la concessione del programma di protezione a Spatuzza e alla sua famiglia
Boccassini ha partecipato a una riunione del 22 aprile 2009: il tema era la concessione del programma di protezione a Spatuzza e alla sua famiglia. Si oppose il magistrato Nino Di Matteo perché «potrebbero rimettere in discussione le ricostruzioni e le responsabilità delle stragi, ormai consacrate in sentenze irrevocabili», ma – ed è questo l’episodio inedito – anche Antonio Ingroia aveva escluso che ci potessero essere «le condizioni perché la Dda di Palermo possa chiedere un programma speciale di protezione». Boccassini, nel ripercorrere i suoi trascorsi nella procura nissena e quella palermitana, denuncia qualcosa di più terribile. Non nasconde che ha respirato aria di collusione. Parla della sconfitta dell’ala militare dei corleonesi. Ma – si domanda – «si può dire altrettanto sul fronte dei rapporti di Cosa nostra con le istituzioni, la borghesia dominante a Palermo, gli imprenditori?». Lei, senza mezzi termine dice di no. Perché? Si è fatto poco, forse «anche per l’apporto di quei magistrati collusi, basilare per l’organizzazione criminale siciliana». E qui lancia un dardo: «Sono convinta che molti siano ancora in servizio e che alcuni abbiano addirittura percorso una brillante carriera». Dice chiaramente che le indagini non furono mai incisive. Parla di reciprocità tra la procura di Palermo e quella di Caltanissetta che consentiva una sorta di ricatto morale.
L'interrogatorio negli Usa a Marino Mannoia e i dubbi sui suoi silenzi
Altro che sistema denunciato da Palamara! Più avanti dice di più. Racconta del suo viaggio, assieme ai colleghi nisseni e palermitani, negli Usa per interrogare il pentito Marino Mannoia. «Il collaboratore appariva - scrive nel libro Boccassini - (o voleva mostrarsi) spaesato, davanti a certe domande, in particolare quelle sui magistrati collusi, prendeva tempo dicendo che soffriva di una forte emicrania (una scusa, secondo me)». Come mai? Altro dardo: «Magari mi sbagliavo, ma avevo la sensazione che Mannoia sapesse molto più di quello che diceva. Ma era frenato da cosa? Dai magistrati presenti?». Ilda Boccassini sarà chiamata anche per essere applicata alla Procura di Palermo. Fu isolata dai suoi colleghi, visse malissimo l’esperienza, tanto che la lasciò. Ma bisogna leggere il libro per capire, forse sarà da aiuto per comprendere in quale morsa vivevano Falcone e Borsellino e quanta verità è ancora nascosta. Si rivolge lo sguardo verso le “entità”, ma mai lì dentro. Vale la pena concludere con un messaggio importante di Ilda Boccassini. «I fan – dice la ex pm -, soprattutto giovani, troppo spesso sono stati ingannati da falsi miti; la mia speranza è che se ne avvedano prima che il tempo, che è galantuomo, faccia cadere quei miti nella polvere». Alla fine si diventa polvere, dovrebbero ricordarselo tutti.