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Con le professioni non è in gioco solo il reddito di alcune categorie, ma il futuro stesso della società. A ricordarlo è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. È lui a segnare la presenza del governo in una riunione straordinaria del Comitato economico e sociale europeo (Cese) in Campidoglio a Roma, dedicata proprio alle prospettive dei giovani. «È necessario sostenere il loro ingresso nel mondo delle professioni», dice Poletti. Che parla quasi come se già conoscesse i passaggi dedicati al tema dal Rapporto che il Censis presenta negli stessi minuti. Il ministro del Lavoro non cita l’equo compenso, come fa l’istituto di Giuseppe De Rita, ma ricorda quanto sia importante che «l’Europa si misuri con questi ambiti e lo faccia anche l’Italia, che vi ha provveduto in questi anni con interventi sulle libere professioni, dalla previdenza al lavoro». L’ultimo dei quali, l’approvazione dell’equo compenso avvenuta due giorni fa alla Camera, è concepito non a caso, secondo le intenzioni dell’esecutivo, innanzitutto per tutelare i giovani.
Che ci sia un’attenzione nuova attorno al lavoro autonomo è attestato da diversi degli interventi registrati nella riunione del “Cese” di ieri. Uno è di particolare significato: quello del presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick. Parte dalle «tappe» attraverso cui «le professioni possono recuperare fiducia: modalità di accesso, struttura organizzativa, deontologia. Sono queste», osserva Flick, «le condizioni per un ritorno della fiducia da parte del cittadino nei confronti del professionista e del professionista verso lo Stato».
Fiducia vuol dire anche capacità di ascolto: e il presidente emerito ricorda in proposito che «la politica ha riconosciuto la funzione dei professionisti con il provvedimento sull’equo compenso e il jobs act del lavoro autonomo, dopo un lungo periodo di disinteresse».
Il fatto che un costituzionalista indichi come positiva la novità delle misure sui compensi professionali è anche un’indiretta risposta alle critiche dell’Antitrust, che aveva visto invece nel provvedimento «un ostacolo alla concorrenza e al mercato».
Dal punto di vista di un presidente emerito della Consulta, evidentemente, conta assai più che venga dato seguito al principio della dignità della retribuzione stabilita all’articolo 36.
D’altronde le obiezioni dell’authority non trovano alcun supporto nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue, che anche in tempi recenti ha ribadito l’assoluta compatibilità con il diritto europeo per le stesse tariffe minime, quando queste sono fissate da un’autorità pubblica. E all’importanza del «ruolo delle professioni» dovrà guardare proprio l’Ue, secondo il presidente dell’europarlamento Antonio Tajani, che alla riunione del “Cese” invia un messaggio: «Il prossimo bilancio dell’Unione deve tenere conto delle esigenze delle libere professioni». Altro colpo all’idea che il reddito dei professionisti sia solo un costo da minimizzare il più possibile per le imprese.
A riconoscere l’urgenza dell’equo compenso è anche un altro rappresentante dell’esecutivo, il viceministro dell’Economia Luigi Casero. Che al convegno dell’Associazione nazionale commercialisti in corso a Pisa ha detto: «È stato utile intervenire con una norma per affrontare un tema che stava diventando molto complesso per tutti i professionisti nazionali, in molti casi la categoria più debole e meno protetta del sistema». Altro segnale di quanto il governo sia compatto nel cambio di rotta sulle professioni.