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Altro che 30 giugno. L’attività giudiziaria ordinaria a Roma riprenderà, negli auspici del presidente del Tribunale più grande d’Europa, a settembre, sempre con un forse tra parentesi. A certificare quelli che realisticamente saranno i tempi sono le linee guida protocollate il 20 aprile, in cui viene scandito il calendario dei giudizi di qui alla fine dell’anno, alla luce delle regole dovute all’emergenza sanitaria. Per quanto riguarda il civile, dal 12 maggio al 30 giugno verranno trattate le cause urgenti indicate dal dl 12/2020, poi le cause pendenti da più tempo, poi quelle relative a diritti fondamentali e infine quelle che in primo grado e in appello non richiedono attività istruttoria o siano già state istruite. Tutte le altre verranno rinviate a data successiva al 30 giugno. Per il settore penale, invece, l’attività è scaglionata in modo ancora più preciso (e dilazionato nel tempo): dal 16 aprile all’11 maggio sono trattati solo i procedimenti previsti in via telematica (udienze di convalida, procedimenti con termini cautelari in scadenza, procedimenti in cui sono applicate misure detentive e quelle di cui il difensore ha fatto espressa richiesta di trattazione in videoconferenza). Dal 12 maggio al 30 giugno, verranno predisposti ruoli di udienza con un numero ridotto di procedimenti, scelti in base al numero delle parti, poi potranno essere trattati quelli con imputati sottoposti a misure cautelari e quelli che prevedono l’esame di periti o consulenti collegati da remoto (ma «solo se le aule saranno attrezzate adeguatamente»). Tutti gli altri procedimenti, cioè la maggior parte, verranno differiti «a partire dalle udienze libere del terzo quadrimestre del 2020»: quindi non prima di settembre. Ancora oltre, invece, si va con la fissazione dei procedimenti di competenza monocratica di prima comparizione a citazione diretta, per i quali «la fissazione è sospesa fino al 31 dicembre 2020, per consentire la trattazione dei procedimenti rinviati». Per altro, c’è chi considera anche queste stime piuttosto ottimistiche: attualmente, infatti, è complicato stimare quanto arretrato produrrà il processo telematico in termini di udienze non trattate e dunque rinviate. A ciò si aggiunge che il tribunale di Roma, come del resto molti in Italia, si trova in una endemica situazione di sotto-organico, sia per quanto riguarda i magistrati che il personale amministrativi (la scopertura è del 32%) . Proprio questi ultimi, inoltre, che avrebbero il delicato compito di formare i fascicoli in via telematica, accettare le notifiche e gli atti depositati via pec, sono di fatto impossibilitati allo smatworking, perchè non abilitati a collegarsi alla Rete Unica della Giustizia (il sistema informatico del ministero che raccoglie tutti i registri). Se il futuro dei processi è fosco, altrettanto cupi sono i presagi per gli avvocati che già hanno prestato la loro attività col patrocinio a spese dello stato o come difensori d’ufficio. Come denunciato dall’Unione degli Ordini forensi del Lazio, infatti, il Presidente della Corte d’Appello di Roma ha confermato che a metà aprile il fondo per liquidare i patrocini a spese dello Stato e le difese d’ufficio si è esaurito, dunque sarà impossibile liquidare i compensi agli avvocati. Una tegola pesante sulla testa della categoria, nonostante la rappresentanza istituzionale dell’avvocatura, proprio inconsiderazione della crisi sanitaria, ha chiesto espressamente al Ministero della Giustizia di attivarsi per liquidare questo tipo di onorari il prima possibile. «L’istanza non riguarda un sostegno economico straordinario, bensì la legittima richiesta di pagamenti per attività professionali svolte spesso da diversi anni», ha scritto il coordinatore Luca Conti in una dura nota inviata a via Arenula. Che, per ora, tace.