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Sotto torchio per novanta minuti, Luca Palamara si è tolto più di un sassolino dalle scarpe ieri mattina davanti alla Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, competente sulle "incompatibilità" delle toghe. L’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati era stato convocato il giorno prima per essere sentito dai suoi ex colleghi. Pur non essendo specificato il motivo, era evidente che l’oggetto dell’audizione avrebbe riguardato il sistema delle nomine in magistratura, come emerso dai messaggi che Palamara scambiava a ritmo frenetico con le centinaia di magistrati che aspiravano ad un incarico di vertice. L’audizione è stata secretata. «È una audizione riservata per la quale ho ricevuto la consegna del silenzio», ha detto all’uscita dal Csm Palamara, accompagnato dai suoi legali, precisando comunque che «è stato tutto registrato». «Mi sono impegnato a chiarire ogni vicenda», ha poi aggiunto il magistrato. La decisione di secretare l’audizione era stata fortemente criticata il giorno prima dai Radicali, i quali per stigmatizzare l’assenza di trasparenza avevano diramato un duro comunicato: «Siamo nell'anno domini 2021, quest'idea che alcuni pezzi di giustizia debbano essere sottratti alla conoscenza, alla pubblicità, alla trasparenza e rimanere nelle segrete stanze abitate da chierici e mandarini deve essere superata, appartiene a mondi che non esistono più». Da indiscrezioni, comunque, pare che siano stati accesi i riflettori su Roma e Milano, in particolare sulle nomine dei locali procuratori aggiunti che sarebbero state effettuate su indicazioni dei rispettivi capi: Francesco Greco e Giuseppe Pignatone. Con i due magistrati Palamara aveva sempre avuto ottimi rapporti. Nel libro intervista "Il Sistema", il magistrato racconta a tal proposito che Pignatone non avrebbe voluto Racanelli (Antonello, ndr) «ma insisteva pesantemente per Ielo (Paolo, ndr) e Sabelli (Rodolfo, ndr)». L’audizione è stata diretta dalla presidente della prima commissione Elisabetta Chinaglia. Attentissimo sembra sia stato l’ex pm antimafia Nino Di Matteo che ha formulato più di una domanda. All'audizione erano presenti anche consiglieri non componenti della commissione. Altro argomento incandescente è stato l’esposto presentato dall’ex pm romano Stefano Rocco Fava, a distanza di due anni ancora pendente al Csm. Fava aveva depositato alla fine di marzo del 2019 un esposto a Palazzo dei Marescialli in cui evidenziava delle anomalie nella gestione di diversi fascicoli da parte del suo procuratore Pignatone. La circostanza era stata raccontata, qualche settimana prima, anche ai togati del Csm Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. Fava parlò dell'accaduto durante due pranzi al ristorante Baccanale di Roma dove, oltre a Davigo e Ardita, era presente anche il collega Erminio Amelio. Fra i vari temi, pare si fosse discusso anche di una candidatura di Fava all'Anm nelle liste Autonomia&indipendenza, la corrente fondata da Davigo. L’esposto in questione era stato poi causa di procedimenti disciplinari e penali. Secondo l'accusa, sarebbe stata una mossa escogitata da Palamara per screditare sia Pignatone che Ielo. Ricostruzione sempre negata da Fava che aveva prodotto anche una telefonata fra l'allora vice presidente del Csm Giovanni Legnini e lo stesso Palamara, in cui emergeva come si fosse trattato di una sua autonoma iniziativa. L’audizione di Palamara segue quella di Raffaele Cantone di lunedì scorso, durante la quale il procuratore di Perugia aveva cercato di chiarito la conduzione dell’indagine nei confronti dell’ex togato. E sul fronte della Procura di Roma, si segnala ieri la presentazione del ricorso di Michele Prestipino nei confronti della sentenza del Tar Lazio che aveva annullato nelle scorse settimane la sua nomina a procuratore della Capitale. Anche il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, che aveva presentato l’iniziale ricorso contro la decisione del Csm di preferirli Prestipino, si è costituito innanzi al Consiglio di Stato chiedendo il rigetto dell’appello. Nei prossimi giorni verrà fissata l’udienza per la trattazione della domanda di sospensione, anche a fronte della decisione del Csm di impugnare la sentenza. Il Tar del Lazio, come si ricorderà, aveva rilevato che Viola era stato escluso dalla commissione per gli incarichi direttivi del Csm pur essendo totalmente estraneo alle “macchinazioni o aspirazioni di altri”. In particolare a quanto emerso durante l'ormai famoso dopo cena all'hotel Champagne la sera dell'8 maggio del 2019 fra Palamara, i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, e cinque consiglieri del Csm.