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Due proiettili calibro 38 special e un biglietto di minacce erano indirizzati con una busta chiusa all’ex direttore generale Emanuele Nicolosi dell’Ast, l’azienda trasporti siciliana controllata dalla Regione. Correva l’anno 2008 e fu un periodo particolare pieno di tensione, attriti, pressioni e presunte minacce. Subito scattò l’allarme al 112: i carabinieri sequestrarono la busta e i proiettili, che erano stati poi inviati ai laboratori della sezione Investigazioni scientifiche dell’Arma. Le indagini sembrano non aver portato a nulla. Due le strade che imboccarono ed erano concentrate sul braccio di ferro tra l’ex presidente dell’azienda siciliana trasporti, Vincenzo Giambrone, e l’ex direttore generale dell’Ast, Emanuele Nicolosi. Gli argomenti della polemica erano stati diversi. Innanzitutto sul ruolo di Gaetana Maniscalchi, una consulente del presidente che era finita agli arresti in primavera per aver fornito notizie riservate a un uomo vicino al boss agrigentino Giuseppe Falsone, il superlatitante della provincia. La Maniscalchi era stata condannata per favoreggiamento ma era rimasta alla guida di una società controllata, la Ast turismo.
Altra occasione di conflitto fra i due dirigenti era stata la cessione del pacchetto azionario della Jonica trasporti alla società che faceva capo all’ imprenditore ex capo della Confindustria siciliana Antonello Montante. Arrestato, anni dopo, con l’accusa di aver messo in atto una rete – impugnando la bandiera dell’antimafia - che avrebbe creato un sistema parallelo per spiare e fare del dossieraggio. Ed è proprio in quel periodo che Montante, azionista maggioritario della società di trasporti privata, avrebbe cominciato a utilizzare vari canali per fare in modo che l’Ast – azienda pubblica – si fondesse con la Jonica: la fusione e la successiva privatizzazione dell’Ast avrebbero comportato per Montante il diritto di prelazione sull’acquisto delle azioni in vendita. Ad opporsi a questa fusione fu l’ex vicepresidente dell’Ast Angelo Cusumano. A causa della sua ferma opposizione, divenne oggetto di ricatto. Infatti, quando un mese fa è stato arrestato Antonello Montante, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe con un video pubblicato sulla propria pagina Facebook. «Da vicepresidente dell’Ast – si può ascoltare nel video – mi sono opposto con tutto me stesso alla svendita dell’azienda pubblica. Io sono stato oggetto di un ricatto che ha procurato un dolore a me e alla mia famiglia. Però sono andato avanti e finalmente le indagini si sono concluse. Oggi non gioisco dei problemi giudiziari altrui ma sicuramente sono felice che la giustizia faccia il suo corso e che si mettano da parte i finti paladini della giustizia, coloro che sventolano l’antimafia come professione. “L’antimafia si fa ogni giorno”, diceva Giovanni Falcone. Ecco il motivo per cui ho deciso di costituirmi parte civile, non perché voglio il denaro ma perché è un dovere che sento nei confronti di tanti elettori e amici che mi hanno sostenuto per questa mia correttezza e un riconoscimento alla mia famiglia che in questi anni mi ha abbracciato e sostenuto. Grazie a questa educazione ricevuta non mi sono piegato a questo ricatto, sono un uomo libero e per bene e non mi piegheranno neanche in futuro».
Ma cosa gli accadde? Tutto sarebbe iniziato tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 quando Cusumano sente puzza di bruciato. I retroscena li ha denunciati al Giornale di Sicilia.
«Lombardo – racconta al giornale - mi aveva detto che bisognava favorire l’operazione Jonica- Ast. Volevano sdoppiare Ast in una bad e in una best company. Nella prima sarebbero rimasti i debiti, nella seconda i beni immobili di valore enorme. A quelli puntava Montante: grandi spazi commerciali in centro a Palermo, Catania, Siracusa. Ideali per farne supermercati. Dissi a Lombardo che non potevo favorire questa operazione».
Dubbi maturati anche da Gaetano Armao, giurista e all’epoca assessore all’Economia, e Maria Sole Vizzini, che è il revisore dei conti di Ast. Quest’ultima, in seguito, comparirà come testimone nell’informativa dell’inchiesta “Double Face” portata avanti dalla Procura di Caltanissetta e dove spunta il nome del giornalista Lirio Abbate. Ritorniamo a Cusumano. Continuò, con ostinazione, ad opporsi alla fusione. «Raffaele Lombardo – racconta sempre al Giornale di Sicilia mi convocò e mi disse che dovevo smetterla di ostacolare la fusione. Poi mi mostrò un plico enorme, c’erano una cinquantina di pagine sulla mia vita, fotografie e frasi che lui leggeva davanti a me. Mi diceva che lo stavo mettendo in imbarazzo. Mi accusava di organizzare festini con alcol e droghe. Urlava queste cose a me, che non ho mai fumato manco una sigaretta». Lombardo gli avrebbe detto che nel dossier si ipotizzava anche una parentela della sua famiglia con membri del clan Badalamenti: «Mi disse – riferisce sempre al quotidiano palermitano - che queste cose sarebbero finite sui giornali, che c’era un giornalista dell’Espresso pronto a scrivere. Lì mi sono preoccupato».
Cusumano chiese a Lombardo 48 ore per riflettere, radunò la famiglia e rivelò che sarebbero potute uscire sui giornali foto e storie sulla sua sessualità. Sui presunti rapporti della sua famiglia con i Badalamenti, in realtà Cusumano verificò e scoprì che una lontana parentela con loro da parte di una zia acquisita. Nulla di cui sentirsi responsabile; decise quindi di non cedere. L’ex presidente della regione Lombardo smentisce tutto e annuncia querela nei confronti di Cusumano. Ma le presunte pressioni che Cusumano avrebbe ricevuto da vari soggetti emergono anche dal capitolo dell’informativa “Double- Face” dedicato ai giornalisti, che avrebbero fatto parte della presunta rete creata da Montante. Compare anche il giornalista dell’Espresso Lirio Abbate. Nero su bianco si legge che «i legami dell’Abbate Lirio con il Montante sono cristallizzati agli atti d’indagine». In effetti gli inquirenti alludono al file excel denominato “copia di appunti in ordine cronologico” dove nella cartella “tutti” si rintracciano gli appunti relativi agli incontri di Montante con il giornalista, rassegnati in una tabella. Elencati per data, compaiono meticolosamente raccolti gli appuntamenti delle singole occasioni di incontro, specificati uno per uno sotto la voce “descrizione”. Gli inquirenti inseriscono cosi nell’informativa l’estratto della tabella che dal 2008 al 2014, con cadenze diverse, elenca le occasioni di incontro e le descrive come cene, colazioni, appuntamenti, gite in barca; anche gli orari sono specificati nei dettagli cosi come le persone eventualmente presenti nelle circostanze. Era questo il periodo in cui Montante rappresentava il simbolo dell’antimafia siciliana.
L’informativa, e ribadiamo che si tratta solo di un’informativa che non sempre è una verità rivelata, si concentra non tanto sui rapporti personali, quanto piuttosto sulla vicenda in cui Abbate era intervenuto personalmente a muovere gli animi nella direzione della fusione, che il Montante auspicava: si tratta, come già descritto, della fusione tra la Ats e la sua partecipata Jonica Trasporti. Accadeva che in momenti diversi e con modalità distinte, Abbate risultava entrato in contatto con la vicenda, quando aveva riferito alla contabile dell’Ats Vizzini – come disse la stessa sentita a testimone dagli inquirenti – di «usare il fioretto» sulla proposta della fusione; mentre sulla posizione dell’avvocato Cusumano, il giornalista si era preoccupato, a detta della stessa testimone, di contattarla telefonicamente per sapere se fosse a conoscenza di qualche informazione sulla vita privata di quest’ultimo o su situazioni giudiziarie che avessero riguardato i familiari. La particolarità segnalata dalla teste Vizzini fu che Cusumano aveva rappresentato qualche tempo prima alla stessa – come si legge nella testimonianza contenuta nell’informativa agli atti – che due soggetti, travisati parzialmente in viso con delle sciarpe, lo avevano avvicinato, minacciandolo che se avesse osteggiato la fusione, avrebbero reso nota la sua sessualità e presunte vicende giudiziarie che avevano attinto suoi familiari in passato.