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Il Sistema esiste. A stabilirlo, ieri sera, è stata la sezione disciplinare del Csm, che dopo una camera di consiglio durata 10 ore ha dichiarato responsabili degli addebiti mossi dalla procura generale gli ex togati che hanno preso parte alla cena all’hotel Champagne a Roma, assieme all’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara, cena durante la quale si discusse di alcune nomine, tra le quali quella alla procura di Roma. Per Lepre, Morlini e Spina la sezione disciplinare ha disposto la sospensione dalle funzioni per un anno e mezzo, contro i due chiesti dall’accusa, mentre per Cartoni e Criscuoli l’arrivederci alla toga durerà soltanto nove mesi, a fronte dell’anno preteso dalla procura generale. Le incolpazioni mosse nei loro confronti riguardavano il «comportamento gravemente scorretto» tenuto, «in violazione dei doveri di correttezza ed equilibrio», nei confronti degli altri consiglieri del Csm e dei magistrati che si erano candidati alla nomina di capo della procura della Capitale, nonché la violazione del «dovere di riservatezza» sull’iter della pratica relativa a tale nomina. Questo procedimento disciplinare si era aperto poco più di un anno fa: i cinque si erano dimessi dall’incarico a Palazzo dei Marescialli nel giugno 2019, dopo le intercettazioni, captate dal trojan inserito nel cellulare di Luca Palamara ed emerse dagli atti dell’inchiesta di Perugia, delle conversazioni avvenute all’hotel Champagne. Una decisione importante, quella presa ieri, che arriva dopo la conferma della radiazione dall’ordine giudiziario inflitta a colui che per tutti è il grande manovratore, quel Palamara che per la Corte di Cassazione, però, avrebbe agito da solo e per vendetta. Una versione diversa da quella sostenuta dal sostituto procuratore generale Simone Perelli e dall’avvocato generale Pietro Gaeta, che hanno invece indicato presunti ruoli e responsabilità di ognuno in quello che è passato alla storia come il mercato delle nomine. Spina, aveva affermato nella sua requisitoria il pg Gaeta, sarebbe stato infatti «il fiduciario assoluto del consigliere Palamara all'interno dell'istituzione consiliare - ha affermato -, l'uomo di fiducia in grado di veicolare all'interno del Consiglio i suoi desiderata». Sarebbe stato, dunque, «la “longa manus” di Palamara nell’istituzione consiliare», mentre Morlini e Lepre - all’epoca dei fatti presidente della Commissione direttivi il primo, e relatore della pratica sulla nomina alla procura di Roma il secondo - «ricoprivano ruoli che rendono ancora più drammaticamente grave - ha detto Gaeta - la gestione parallela delle nomine all’hotel Champagne». Come si concilia questa versione con quella data dal Palazzaccio? Per i giudici di piazza Cavour, «Palamara ha agito sulla base di motivazioni assolutamente personali, intendendo colpire specificamente singoli magistrati, volta per volta presi di mira». Una sorta di vendetta personale, dunque, che escluderebbe l’esistenza di un metodo e di altri partecipanti e che renderebbe l’ex consigliere del Csm una mela marcia. Ma è stato lo stesso Palamara a spiegare che invece non avrebbe agito affatto a titolo personale: «Ipotizzare che io facessi tutto in solitudine è l’equivalente di dire che, anziché vivere giornate torride, in questo periodo usciamo con il cappotto», aveva dichiarato al Dubbio. Anche se le persone coinvolte, stando ai sottintesi e ai continui inviti dell’ex capo dell’Anm ai colleghi che hanno «beneficiato» di quelle cene a raccontare quanto sanno, sembrano essere molte di più di quelle finite sotto processo a Palazzo dei Marescialli. Secondo l’accusa, Palamara pianificò, assieme ai suoi “coimputati” davanti al Csm, attività per screditare alcuni magistrati e condizionare la nomina dei capi delle Procure. L’evento clou della vicenda è, appunto, la famosa cena del 9 maggio 2019, alla presenza dell’ex ministro dello Sport Luca Lotti, all’epoca già imputato a Roma nell’ambito dell’indagine Consip, e il parlamentare Cosimo Ferri, all’epoca anche lui del Pd. Quella sera si parlò del successore di Giuseppe Pignatone alla procura di Roma, indicando il pg di Firenze Marcello Viola come il favorito. Quella conversazione, per Palamara, avrebbe rappresentato una normale interlocuzione fra esponenti di gruppi associativi e politici su alcune nomine. E in quella sede a discutere di questi temi, secondo l’accusa, c’erano anche i magistrati finiti davanti al banco degli imputati di Palazzo dei Marescialli. Per questo la loro posizione non è affatto secondaria. Nel corso del procedimento i cinque hanno voluto fornire una versione diversa della vicenda: tra i primi a parlare proprio il presunto braccio destro di Palamara, Spina, che rilasciando dichiarazioni spontanee ha rivendicato la sua fedeltà a Unicost (di cui all’epoca era capogruppo), decisa a sostenere la candidatura di Giuseppe Creazzo. «Quello che si decideva era sacro e lo rispettavamo - ha dichiarato -. Conoscevo Palamara, ma non facevo parte del suo mondo, non avevo mai partecipato a incontri, non avevo un programma comune con lui e semmai io per quel programma sono stato un ostacolo», ha sottolineato Spina. «Ho sempre detto chiaramente che non avrei lasciato l’appoggio a Creazzo, non ho mai avuto nessuna volontà di danneggiarlo né di provare a fargli ritirare la candidatura. Avevo espresso fastidio per l’invadenza di Palamara - ha aggiunto -, doveva avere rispetto per le decisioni del gruppo, tanto che da altre intercettazioni emerge la sua volontà di cercare strade alternative, perché con Spina “non c’è stato verso”, aveva detto». Per il suo difensore, Donatello Cimadomo, l’accusa nei confronti di Spina sarebbe indeterminata e contraddittoria. «L’unica cosa che si può imputare a Spina è di essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato - ha detto - se il problema è che non si è alzato e non è andato via al massimo si può applicare la sanzione della censura per comportamento inopportuno ma non certo una sanzione per avere tradito le sue funzioni istituzionali». Prima che i membri della sezione disciplinare si riunissero, a prendere la parola ieri è stato Lepre, che ha parlato di una «vicenda dolorosa che rappresenta un travaglio e una sofferenza devastanti» e ha ricordato di non essere stato a conoscenza della riunione, «di non conoscerne oggetto e partecipanti» ma di essere stato «colto alla sprovvista» rientrando dopo cena con la moglie in albergo, lo stesso dove si è tenuto l’incontro, e vedendo i colleghi in una saletta attigua alla hall «di non essere stato invitato, di essere rimasto il tempo necessario per non apparire scortese e di essere andato via per primo». Quanto ai candidati per la procura di Roma, riferendosi al sostegno a Viola di cui si era discusso quella sera, «personalmente, in virtù degli oggettivi e robusti titoli di Viola, confidavo in quell’ampia maggioranza che effettivamente si concretizzò poi in commissione», ha sottolineato. A difendere Criscuoli è stato il professor Mario Serio, secondo cui l’ex consigliere sarebbe stato «attratto in un vortice nel quale era completamente estraneo», quello delle «ambizioni incontrollate di Palamara e Ferri», e «del quale non poteva preventivamente controllare le modalità di svolgimento» e quindi «non poteva respingere il pericolo». Inoltre «il silenzio continuamente serbato» nel corso della riunione attesta che «capacità offensiva della sua condotta è del tutto insignificante e non meritevole di sanzione». Per Cartoni l’avvocato Carlo Arnulfo ha chiesto il proscioglimento: non avrebbe commesso «nessuna grave scorrettezza», l'unica pecca è «la presenza impropria all’hotel Champagne. Poteva andare via quando si iniziava a parlare di nomine», ha detto. «La riunione non l’aveva programmata, poteva solo interromperla. Ma poi nella pratica è difficile pensare che una persona si alzi e se ne vada. Ha ascoltato le conversazioni ma non era partecipe del piano» relativo alla nomina del capo della procura di Roma. Morlini, invece, ha rivendicato la sua autonomia: «Tutte le decisioni sulla nomina del procuratore di Roma, come sulle altre nomine, le ho prese io. Non c’è stata nessuna eterodirezione, né suggerimenti. E non c’è stato nessun doppio gioco o bluff», ha affermato. Per il suo difensore, Vittorio Manes, Morlini «non ha partecipato né come burattinaio né come burattino al risiko delle nomine». L’«insussistenza delle incolpazioni» è stata evidenziata anche da Domenico Airoma, difensore di Lepre, che, ha ricordato, «non ha partecipato ad alcuna attività preparatoria della riunione e alla stessa ha partecipato per una ventina di minuti. Per il suo comportamento scorretto Lepre ha già pagato con le dimissioni, ma la responsabilità disciplinare deve rispondere ad altri parametri, guai a trasferire sul piano disciplinare valutazioni di carattere etico. Questo sarebbe travolgere ogni garanzia». Ora per conoscere le ragioni della decisione bisognerà attendere 90 giorni.