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Dopo la notizia sui presunti pestaggi avvenuti nei confronti di un detenuto al carcere di Bari, si riaccende lo scontro sul reato di tortura. Da una parte ci sono i sindacati della polizia penitenziaria come la Uilpa e Sappe che chiedono di rivedere il reato perché costruito male. Dall’altra c’è ad esempio l’associazione Antigone che, alla luce dei diversi processi a seguito dell’introduzione del reato, è «segno di un testo che era e continua ad essere fondamentale per prevenire e perseguire abusi in un luogo chiuso come il carcere».
Nel caso specifico di Bari, ancora parliamo di una ipotesi e quindi bisogna attendere l’esito delle indagini e gli eventuali rinvii a giudizio. Ma ora la questione tutto ruota sul reato di tortura. «Riponiamo incondizionata fiducia nella magistratura - ha dichiarato il segretario generale Gennarino De Fazio della Uilpa - Chi sbaglia va individuato, isolato e perseguito, ma se le indagini per il reato di tortura sono ormai numerose e interessano carceri diverse in tutto il Paese, probabilmente, c’è molto di più di qualcosa nell’organizzazione complessiva che non funziona e da correggere».
Ma il governo Meloni cosa farà? Il terzo punto del programma del partito Fratelli d’Italia per le elezioni politiche del 2018 era dedicato alla «priorità a sicurezza e legalità». Tra le altre cose si citava la «revisione della cosiddetta legge sulla tortura». Nel programma delle elezioni scorse, però, non viene fatto menzione. E questo potrebbe far venire un sospiro di sollievo per chi, da anni, si è battuto affinché fosse introdotto questo reato come richiesto nell’aprile del 2015 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La Cedu, infatti, aveva insistito con l’Italia perché si dotasse di «strumenti giuridici in grado di punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o altri maltrattamenti», dopo averla condannata in riferimento al «comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz», avvenuta nei giorni del G8 di Genova del luglio 2001, con terribili e comprovate violenze contro persone inermi e innocenti.
Il reato di tortura entrò in vigore nel 2017
Il reato di tortura entrò in vigore nel luglio 2017 durante il governo Gentiloni, dopo un faticoso percorso legislativo durato quattro anni. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia votarono contro il disegno di legge sul reato di tortura e il M5S si astenne. Ma fu espressa insoddisfazione per il testo della norma – per ragioni totalmente opposte – anche dagli stessi promotori. Luigi Manconi, all’epoca senatore del Partito Democratico, primo firmatario del disegno di legge nel 2013, disse che le modifiche avvenute negli anni rappresentavano uno «stravolgimento» del testo, che inizialmente «ricalcava lo spirito profondo che aveva animato le convenzioni e i trattati internazionali sul tema».
Il testo finale fu criticato per lo "stravolgimento" del reato
Uno “stravolgimento” perché nel testo finale della legge la tortura viene configurata come «reato comune» e non come «reato proprio», come invece indicato dalle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 a cui Manconi fa riferimento: mentre il reato comune può essere commesso da “chiunque”, il reato proprio identifica infatti una particolare qualifica o posizione di chi lo commette. Ad opporsi all’approvazione del testo di legge nel luglio 2017, tra gli altri, anche Ilaria Cucchi e Enrico Zucca, pubblico ministero nel processo per le violenze alla scuola Diaz durante il G8, che firmarono un appello definendo il testo di legge «confuso, inapplicabile e controproducente».
Il reato di tortura approvato funziona
Però, poi, nei fatti, da quando il reato è stato introdotto, tale legge si è dimostrata efficace. La stessa associazione Antigone, all’epoca critica per le stesse ragioni di Manconi, ha potuto verificare che – nonostante sia figlia di un compromesso – il reato di tortura approvato funziona, soprattutto grazie «alla cultura giuridica di chi poi quella legge la applica».