L’articolo che segue, scritto dall’ex Procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati, è tratto da “Questione giustizia”, la rivista on- line di Magistratura democratica, ed è stato pubblicato l’ 8 gennaio 2018

Chi avesse scorso i quotidiani del 6 gennaio 2018 avrebbe trovato due notizie, di segno molto diverso, sul tema della diffusione di foto e riprese di persone arrestate. Il quotidiano Libero in prima pagina, con grande evidenza titola: «Il comandante dei carabinieri infuriato: “Questi signori ladri tornano liberi e riprenderanno a rubare”. I volti degli otto clandestini albanesi segnalati pubblicamente dai carabinieri di Padova» ; nel riquadrato le otto fotografie segnaletiche a colori. L’articolo prosegue a pagina 13 con il titolo. «L’avvertimento del comandante dell’Arma di Padova. “Occhio a questi ladri, stanno per uscire di cella”. I carabinieri segnalano otto pregiudicati albanesi. “Tenete a mente queste facce, potrebbero riprendere a rubare nelle case”». Nel testo dell’articolo si riferisce che, nel corso di una conferenza stampa, il comandante provinciale dei Carabinieri di Padova «ha mostrato le foto segnaletiche perché le telecamere delle televisioni locali riprendessero bene i volti di questi malviventi e li diffondessero nelle case della gente. Sono tutti pregiudicati, hanno precedenti specifici, sono albanesi di famiglia zingara e sono sprovvisti del permesso di soggiorno. Vivono grazie ai proventi dei loro furti. (…) Il colpo più datato è di tre mesi fa, sono stati ammanettati da poco, ma il comandante dei Carabinieri si sente in dovere di dire alla popolazione di stare attenta, di guardarsi attorno dieci volte prima di lasciare la propria casa incustodita perché questi ceffi quando a breve avranno saldato il loro conto con la legge potrebbero tornare in azione. (…) Nel corso della conferenza stampa il comandante ha anche illustrato una sorta di vademecum per difendersi dai ladri». Segue, sempre a pagina 13, un commento dal titolo: «A questo porta l’inefficienza della nostra giustizia». La notizia viene riportata anche dai quotidiani della catena La Nazione- Il Resto del Carlino- Il Giorno con toni analoghi e pubblicazione delle otto foto; segue un commento dal titolo «Onore all’Arma». Non sappiamo quanto di enfasi sia dovuto alla penna dei cronisti rispetto alle dichiarazioni effettivamente rese dal comandante provinciale dei Carabinieri, ma il dato di fatto pacifico è l’iniziativa di diffondere alla stampa le foto segnaletiche degli arrestati. Sarà interessante vedere se vi saranno reazioni da chi ricorrentemente denuncia ( e giustamente) episodi di “gogna mediatica” ovvero se l’indignazione si confermi selettiva in base alla personalità dei soggetti offerti alla gogna. Il Corriere del mezzogiorno ( Napoli e Campania) sempre il 6 gennaio 2018 a pagina 6 titola: «Melillo: stop alla diffusione delle foto di persone indagate oppure arrestate. Circolare del procuratore alle forze dell’ordine, ad avvocati e giornalisti: va tutelata la dignità. Soprattutto se il soggetto coinvolto sia vulnerabile, come nel caso di chi ha perso la libertà».

LA CIRCOLARE

Merita subito una segnalazione il fatto che la circolare diretta alle autorità di polizia sia, molto opportunamente, indirizzata, per conoscenza, oltre che al procuratore generale e ai magistrati dell’ufficio, anche al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati e al Presidente del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti. La circolare muove dalla premessa: «La doverosa cura delle condizioni di efficace tutela della dignità delle persone sottoposte ad indagini ovvero comunque coinvolte in un procedimento penale appare, infatti, maggiormente meritevole di attenzione qualora la persona versi in condizioni di particolare vulnerabilità, come nel caso in cui sia privata della libertà personale». E prosegue: «Come costantemente rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, il sistema normativo vigente impone il raggiungimento di un ponderato equilibrio tra valori diversi contrapposti, tutti di rilievo costituzionale, stante l’esigenza di un necessario contemperamento tra i diritti fondamentali della persona, il diritto dei cittadini all’informazione e l’esercizio della libertà di stampa».

Vengono quindi richiamate le di- sposizioni dell’art. 25 del Codice per la protezione dei dati personali, l’art. 8 del Codice di deontologia dei giornalisti, il provvedimento n. 179 del 5 giugno 2012 dell’Autorità di garanzia dei dati personali, nonché la sentenza Cedu 11 gennaio 2005 ( Sciacca contro Italia), che ha ravvisato una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella diffusione della foto segnaletica di una persona arrestata. La circolare dopo aver rammentato che: «Del resto, tali principi sono espressamente richiamati anche nella circolare 123/ A183. B320 del 26.2.1999, con la quale il Ministero dell’Interno ha sottolineato l’esigenza che, anche nell’ipotesi di indiscutibile “necessità di giustizia e di polizia” alla diffusione di immagini, “il diritto alla riservatezza della tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione”» conclude disponendo: «In conformità alle precise indicazioni normative appena ricordate, pertanto, le SS. LL. vorranno assicurare – impartendo ogni opportuna disposizione agli uffici e ai comandi dipendenti – la più scrupolosa osservanza del divieto di indebita diffusione di fotografie o immagini di persone arrestate o sottoposte ad indagini nell’ambito di procedimenti la cura dei quali competa a questo Ufficio, segnalando preventivamente le specifiche istanze investigative o di polizia di prevenzione ritenute idonee a giustificare eventuali, motivate deroghe al principio sopra richiamato».

La diffusione e la pubblicazione di riprese filmate e foto di persone al momento dell’arresto o della traduzione in carcere o delle foto segnaletiche, a dispetto dei principi e della normativa vigente, è purtroppo un costume diffuso. La comprensibile e pur legittima esigenza di visibilità delle autorità di polizia che hanno proceduto alle indagini può trovare uno sbocco nel modulo comunicativo che si realizza con la partecipazione alla conferenza stampa tenuta negli uffici della Procura della Repubblica. Il tema è controverso e le prassi sono difformi.

Non sono mancate iniziative dirette a contrastare le prassi distorte. Nel Bilancio di Responsabilità sociale 2014/ 2015 della Procura della Repubblica di Milano, reperibile nel sito internet della procura, in un passaggio della Introduzione dedicato alla “Comunicazione della Procura” si segnala: «Per i casi di significativo interesse pubblico, è stata privilegiata la comunicazione con lo strumento del comunicato stampa emesso dal Procuratore e diffuso con la massima tempestività possibile consentita dal livello di discovery raggiunto, anche al fine di garantire parità di accesso a tutti i media. Nel periodo in esame sono stati diffusi numerosi comunicati stampa. In occasione di indagini di particolare rilievo al comunicato stampa è seguita una conferenza stampa, tenuta negli uffici della Procura della Repubblica, con la partecipazione dei responsabili della o delle forze di PG interessate. L’obiettivo è di fornire all’opinione pubblica una informazione il più possibile completa su quegli aspetti della indagine che non sono più coperti da segreto e sempre nel rispetto della presunzione di non colpevolezza. Il rispetto della dignità delle persone ha comportato, d’intesa con le forze di polizia, la adozione di precise prassi operative per evitare la ripresa fotografica o televisiva di persone al momento dell’arresto. Nel quinquennio, nonostante siano stati eseguiti numerosi arresti in tema di criminalità mafiosa, terrorismo, corruzione e criminalità economica suscettibili di grande risonanza mediatica, in nessuna occasione vi è stata la diffusione di immagini delle persone» .

Ma è sufficiente una rapida ricerca sul web per trovare diverse riprese filmate degli arrestati. Altrettanto frequente è la diffusione delle foto segnaletiche degli arrestati sia da parte delle autorità di polizia, sia anche nel corso di conferenze stampa tenute con la presenza del procuratore della Repubblica. Tre esempi recenti sul web: l’Operazione Gorgòni, Catania 28 novembre 2017; l’Operazione Metauros, Reggio Calabria 5 ottobre 2017; il Blitz Contatto, Lecce 5 settembre 2017. In questo contesto è tanto più apprezzabile la iniziativa del procuratore di Napoli, sia per la puntuale motivazione sia per le precise disposizioni impartite.

NORME E PRASSI

Può essere utile una rassegna della normativa per evidenziarne la inosservanza nella prassi. Con l’art. 14, comma 2 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 è stato introdotto un nuovo comma 6 bis all’art. 114 cpp: «È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta». Per la risposta sanzionatoria rimane operante l’art. 115 cpp: «Violazione del divieto di pubblicazione. Salve le sanzioni previste dalla legge penale, la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli artt. 114 e 329 comma 3 lettera b) costituisce illecito disciplinare esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero informa l’organo titolare del potere disciplinare».

Non risultano segnalazioni del pubblico ministero e tantomeno iniziative disciplinari a fronte della non infrequente pubblicazioni di foto e riprese di arrestati in manette, talora, ma non sempre, con l’ipocrita accorgimento delle manette “pixelate” e dunque paradossalmente ancor più sottolineate. Eppure vige da tempo il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica ( Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 29 luglio 1998, Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179) che prevede: «Art. 8. Tutela della dignità delle persone. Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi».

È interessante segnalare che in Francia la legge n. 2000- 516 del 15 giugno 2000, intitolata al rafforzamento della presunzione di innocenza e dei diritti delle vittime, all’art. 92 ha introdotto un nuovo articolo 35- ter alla legge del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa: «Salvo che sia realizzata con il consenso dell’interessato, la diffusione, con qualunque mezzo o supporto, dell’immagine di una persona identificata o identificabile soggetta ad una procedura penale, ma non ancora condannata, che la mostri sottoposta all’uso di manette ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, ovvero mentre viene posta in detenzione provvisoria, è punita con l’ammenda di 100.000 F».

La stessa legge del 2000 ha modificato l’art. 803 del codice di procedura penale nei termini seguenti: «Nessuno può essere sottoposto all’uso di manette ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che sia considerato pericoloso per sé o per gli altri o suscettibile di tentare la fuga. In queste ipotesi devono esser adottate tutte le misure utili, compatibilmente con le esigenze di sicurezza, ad evitare che la persona sottoposta all’uso di manette ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, sia fotografata o soggetta a ripresa audiovisiva».

Una rapida ricerca sui siti web francesi non fa emergere casi di diffusione di foto segnaletiche o di persone ammanettate; è pubblicata una ripresa video di violenze da parte della polizia in servizio di ordine pubblico nei confronti di persone arrestate e ammanettate nel corso di una manifestazione in Place de la Republique il 28 aprile 2016.

Il tema è stato riproposto con particolare evidenza nel 2011 quando il Consiglio superiore dell’audiovisivo ( CSA) ha ritenuto che non fossero pubblicabili in Francia le foto diffuse negli Stati Uniti in occasione dell’arresto di Dominique Strauss Kahn. Le foto e le riprese televisive, largamente diffuse, in Italia hanno mostrato Dominique Strauss Kahn in manette deliberatamente e ripetutamente offerto alle riprese giornalistiche dalle autorità di polizia secondo la pratica cosiddetta del “perp walk”, controversa ma largamente diffusa. Il termine “perp” è una abbreviazione di “perpetrator”, con buona pace della presunzione di innocenza, trattandosi di persona arrestata dalla polizia e messa in pasto al pubblico prima ancora di essere presentata davanti al giudice. Gli esempi di “perp walk” sono numerosi: forse il più celebre è quello in cui Jack Ruby viene ripreso in diretta dalle Tv mentre spara ed uccide Lee Harvey Oswald, arrestato come sospetto assassino di J. F. Kennedy. A partire dagli anni ‘ 80 alla pratica del “perp walk” sono stati sottoposti anche “colletti bianchi”, soprattutto per iniziativa di Rudolph Giuliani.

LA SENTENZA CEDU

Se in Italia siamo ben distanti dalla barbarie del “perp walk” americano, il confronto con la Francia mostra quanto si debba operare ancora nel nostro Paese per eliminare prassi distorte. Eppure un monito forte ci è stato offerto oltre un decennio addietro dalla sentenza Cedu dell’ 11 gennaio 2005 Sciacca contro Italia, opportunamente citata nella circolare del procuratore di Napoli. La Corte ha ritenuto la violazione dell’art. 8 della Convenzione nella divulgazione alla stampa da parte della autorità di polizia della foto di una persona arrestata, in quanto ingerenza non giustificata nel diritto al rispetto della vita privata, non essendo necessaria per lo sviluppo delle indagini. Vi è da augurarsi che la meritoria iniziativa del procuratore Giovanni Melillo riesca ad innescare un circolo virtuoso tra magistratura, polizia e stampa.