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processo amministrativo
«L’esigenza che la giustizia deve andare comunque avanti nella pandemia non può sacrificare la partecipazione degli avvocati all’udienza con la discussione orale». Quella di Carmine Volpe, presidente della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, è una critica feroce alla normativa d’emergenza. Legittima, in un periodo che sospende la normalità sotto ogni punto di vista, ma non tale da giustificare il venir meno a prerogative costituzionali, che mettono in secondo piano, rispetto a quello alla salute, altri diritti. Avallando una tendenza tutt’altro che apprezzabile: quella a considerare il processo come “cosa” che appartiene unicamente al giudice e non, come in realtà è, alle parti. Dimenticando che «il giudice esiste proprio perché le parti si rivolgono a lui per ottenere giustizia in una controversia che non ha potuto trovare soluzione in altro modo». L’analisi di Volpe attraversa le tre fasi che contraddistinguono il processo amministrativo nel corso dell’emergenza, distinto, dunque, dal resto della giurisdizione. Inspiegabilmente, secondo Volpe, che critica le scelte del governo in quanto poco chiare. Volpe parla di una «alluvione di disposizioni confuse, oscure, capziose, contraddittorie e contrastanti», che hanno portato «non solo ad una normativa derogatoria, ma anche differenziata e peculiare per il processo amministrativo rispetto alla giustizia ordinaria (civile e penale), tributaria, militare e contabile». La prima fase, dall’8 marzo al 15 aprile, prevede il blocco di tutte le udienze, ad esclusione delle domande cautelari, decise con decreto cautelare monocratico. La fase 2, dal 6 al 15 aprile, prevede decisioni senza discussione orale e sulla base degli atti depositati, solo su richiesta congiunta di tutte le parti costituite. La fase 3, dal 16 aprile al 30 giugno, infine, prevede una ripresa dell’attività giudiziaria per i ricorsi fissati in udienza pubblica e in camera di consiglio, con udienze sia di merito che cautelari, ma sulla base degli atti e senza possibilità di discussione orale, ovvero il cosiddetto “processo cartolare coatto”. «Le ragioni della differenziazione rispetto agli altri ordini giudiziari non sono facilmente comprensibili», contesta Volpe. Che sottolinea come le esigenze dei soggetti del processo non mutano rispetto agli altri sistemi di giustizia. Insomma: le regole avrebbero dovuto essere coerenti, per ogni settore della giustizia, in quanto «tendono a risolvere problemi comuni alle giurisdizioni, nell’interesse di tutti gli attori e gli utenti del sistema di giustizia. Che è pur sempre unico sebbene articolato in diversi ordini giudiziari». Il processo amministrativo, oltre tutto, già da tempo è dotato della sua “versione” telematica, il che non giustifica le «specialità» riservati ai processi davanti Tar e Consiglio di Stato. «Un’effettiva udienza on line (con la possibile partecipazione degli avvocati) avrebbe potuto consentire una migliore gestione dell’emergenza processuale», sottolinea Volpe. Che dubita della conformità alla Costituzione della normativa d’emergenza emessa dal Governo. «Nel contemperamento degli interessi in conflitto, la normativa emergenziale pone il diritto alla salute al primo posto, al di sopra degli altri diritti fondamentali - scrive Volpe -.Per il Consiglio di Stato il diritto alla salute tutelato dalla normativa emergenziale non è in grado di prevalere sul diritto al giusto processo, sul diritto di difesa e sui principi relativi. La garanzia del contraddittorio scritto non basta poiché deve essere assicurata la discussione orale, ossia la possibilità dell’avvocato di dialogare con il giudice, nell’immediatezza della decisione. Anche per potere contrastare fino all’ultimo quanto contenuto negli scritti, il che non è sostituito dalla “facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione”». E così si va ben oltre l’udienza a porte chiuse, denuncia Volpe: «Si è prevista una non udienza, ossia una camera di consiglio, anche da remoto, che nella sostanza è l’incontro dei giudici per decidere, sulla base degli scritti, i ricorsi portati al loro esame». Il suggerimento di Volpe è quello di far partecipare gli avvocati che presentano apposita istanza di discussione. Ma anche sfruttare la normativa d’urgenza per migliorare l’ordinario. «Intanto l’emergenza ha messo in evidenza il male endemico della cattiva legislazione - si legge nel documento -. Ci sarebbe stato bisogno, come sempre, di poche regole, chiare, certe e univoche». Ma se non si riesce a semplificare in via ordinaria, aggiunge Volpe, «è difficile pensare che ci si riesca nell’emergenza». E alla luce delle marcate differenze che la legislazione dell’emergenza ha portato nel processo amministrativo rispetto alle altre giurisdizioni, «non può accettarsi la compromissione del diritto di difesa delle parti, che sembra andare nella direzione di un modello processuale autoritario, distante non solo dai valori costituzionali ma soprattutto dai valori propri della cultura del processo e della giustizia amministrativa in particolare».