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Mi sono sempre chiesto perché il calcio affascina così tante persone, me compreso.La mia spiegazione è partigiana, perché ho sempre giocato, per scelta, in quel ruolo: perché esiste il portiere. Senza la figura strana di un giocatore con la maglia diversa, che segue regole speciali e tocca il pallone di mano, le partite di calcio sarebbero noiosissime: il goal non sarebbe più un momento da agognare come un orgasmo collettivo liberatorio, ma una frequente banalità. Altro elemento fondamentale del pathos calcistico è il tempo predeterminato: una partita dura novanta minuti, più una manciata di avanzo nel recupero ed entro quel tempo occorre vincerla. La gara non può durare all’infinito, come invece teoricamente le gare di tennis o pallavolo.Lo stesso si può dire per il processo penale, se non ci fosse quella strana figura del difensore (anche qui la mia visione è partigiana, perché ho sempre giocato per scelta in questo ruolo) e se non ci fosse il tempo fissato a dare ritmo alle fasi del confronto tra le parti .Certo, per molti, forse la maggioranza dei tifosi, il tempo e il portiere sono un impiccio. E’ frequente sentire imprecare per il cronometro che corre troppo veloci e rammaricarsi perché quell’ “estremo difensore“ (così era chiamato dai vecchi cronisti sportivi chi stava in porta) fa prodezze per salvare la squadra.Si ritiene da parte di molti che il senso della partita stia nel goal e che tutto quello che lo limita o ostacola vada rimosso.In letteratura è fondamentale il testo di Aldo Bianciardi “ Il fuorigioco mi sta antipatico”, che è il riassunto del Credo di questo modo di concepire il calcio. Ma in realtà è proprio l’astuzia insita nella tattica del fuorigioco, unita alla stranezza del portiere e al flusso inesorabile del cronometro che rende la partita avvincente. L’attuale dibattito sul processo penale sta portando a galla molti emuli inconsapevoli di Bianciardi, sprovvisti però della sua ironia.Il processo penale ideale per loro è un’autostrada a otto corsie in rettilineo dalla denuncia alla condanna.Tutto quello che si frappone tra il punto di arrivo e quello, per loro unico e necessitato, di arrivo in galera, è un imbroglio o un trucco da truffatori in toga. L’imputato non è presente al processo perché malato? Chi se ne frega, tanto ha l’avvocato.L’avvocato non è presente perché gli è morta la mamma? Chi se ne frega, tanto parlerà la prossima volta (non è una battuta, è successo nel mio tribunale qualche mese fa). L’avvocato presenta una lista di testimoni a discarico? Tagliamola, tanto è solo una perdita di tempo.Il Pubblico ministero si è dimenticato di indicare i suoi testimoni? Non c’è problema , li sentiamo lo stesso. L’avvocato fa troppe domande a un testimone dell’accusa? Diamoci un taglio e non mettiamo in difficoltà l’accusa.L’avvocato mette alle strette un testimone dell’accusa? Chiediamogli di spiegare prima “il senso della domanda“ (che è come dovere obbligare il portiere a dire prima su quale lato della porta si tufferà). Il Pubblico ministero non sa come fare a provare l’accusa? Andiamo avanti finché non c’è riuscito almeno un po’. Il processo che ne viene fuori per questi teorici e pratici della neutralizzazione della difesa, è l’opposto di un gioco avvincente dove vince il migliore; ma a loro poco importa perché il migliore per loro è sempre il pubblico ministero.Qualcuno potrebbe obiettare: il calcio è un passatempo, il processo penale una cosa seria.Ma non è vero. Sia perché il calcio da tempo è un’industria miliardaria mondiale (la Fifa ha più membri dell’ONU), sia perché le regole stesse del diritto sono assimilabili in ogni loro parte a quelle di un gioco, come ha ricordato il filosofo e giurista britannico Herbert Hart, di professione professore a Oxford. E il gioco, come ha scritto lo storico e linguista olandese Johan Huizinga, è un elemento fondamentale per distinguere l’uomo dalla bestia. Comunque, tanto per fare una previsione su come finirà la partita, Huizinga è morto ammazzato dai nazisti ma i nazisti hanno perso la guerra.