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«La Calabria non fa parte di una visione di Stato». A parlare è il presidente dell’ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico. Che in un momento delicatissimo per la regione, presa tra centinaia di arresti in preda al parossismo mediatico e indagini che coinvolgono pezzi di magistratura, evidenzia un’anomalia tutta calabrese: per la prima volta, il distretto di Catanzaro si ritroverà oggi ad inaugurare l’anno giudiziario senza un procuratore generale. Ciò a seguito del trasferimento «in tempi record» di Otello Lupacchini, punito per le critiche al procuratore della Dda Nicola Gratteri.
Ci saranno i vertici dell’avvocatura, a Catanzaro, con il presidente del Cnf Andrea Mascherin, che presenzierà la cerimonia a fianco di Talerico. Secondo cui c’è però un altro grande assente: il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. «Non solo perché ha esercitato l’azione disciplinare - spiega al Dubbio -, non solo perché c’è stato un collasso del sistema giustizia, ma perché avrebbe dovuto metterci la faccia. Ma siamo stati abbandonati».
L’assenza del pg, per Talerico, delinea «il momento di grave debolezza» di un distretto in cui «la situazione ambientale è molto calda», anche a seguito dell’arresto del presidente della Corte d’assise Appello, di diversi avvocati e delle indagini in atto su diversi magistrati, trasferiti in via cautelativa in altre sedi. Tensioni alle quali si aggiungono gli scontri tra procura generale e Dda. «Una situazione del genere preoccupa l’avvocatura - spiega Talerico -, nella misura in cui questi due fronti creano anche delle influenze ambientali: è ovvio che la magistratura o si schiera con una parte o con l’altra e questo fa sì che l’intero mondo giudiziario possa risentire di questo conflitto».
I rapporti tra avvocatura e magistratura, spiega Talerico, sono ottimi. Ma è anche vero «che un certo metodo di illustrazione delle indagini ha portato a parlare di spettacolarizzazione. Ci sono degli equilibri che possono saltare, nel momento in cui si rischia la gogna per gli indagati». Una critica anche alla stampa, «che rende pubblico ogni piccolo dettaglio ancor prima che l’ordinanza sia conosciuta anche dai difensori. Così il processo è già fatto, a prescindere dalle sorti dello stesso. E ciò crea pressioni ambientali anche sui tribunali».
Bisogna, dunque, ritrovare l’equilibrio, non dare per scontato che un indagato sia già colpevole, spettacolarizzando l’attività d’indagine. «Non si può violare il sistema della trasmissione delle informazioni, perché così si rischia una sorta di Stato di polizia. Cioè non sarà consentito più a nessuno di difendersi - sottolinea -, perché anche in caso di assoluzione non ci sarà mai più riabilitazione. A ciò si aggiunge il populismo giuridico: tutti parlano di diritto e, complici i social, si innesca il meccanismo dell’odio sociale tra classi sociali». Il problema, a Catanzaro come altrove, sono le risorse. «I collegi sono costretti a lavorare fino allo stremo, con magistrati che lavorano su migliaia e migliaia di pagina, per centinaia di posizioni - conclude -, al punto da dover impiegare magistrati del civile per tentare di rispettare il principio di collegialità».