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costa ingiusta detenzione
Che fatica, cercare d’essere coerenti. Deve aver pensato più o meno questo, il deputato di Forza Italia Enrico Costa. Le orecchie gli fischiano ormai da settimane: il suo nome è sulla bocca di tutti, in entrambi i rami del Parlamento e durante i vertici sulla giustizia. Porta il suo nome, infatti, la legge che punta ad abrogare la norma blocca-prescrizione di Bonafede. Nei fatti, la proverbiale pietruzza che rotolando rischia di provocare l’effetto valanga e portare a valle (leggi, alle urne) il Parlamento. Lui l’ha portata avanti con tenacia, infilandosi in modo sapiente tra i gangli dei regolamenti delle commissioni, fino a farla approdare davanti all’Aula, rafforzata di un consenso che non pesca solo nelle opposizioni. Italia Viva, infatti, da settimane minaccia il governo brandendo la legge Costa: l’hanno già votata quattro volte e sono pronti a farlo ancora, se non otterranno il rinvio della legge Bonafede. Insomma, Costa ha fatto esattamente ciò che ogni deputato d’opposizione dovrebbe fare: ha trovato una falla nella maggioranza, ci si è incuneato, ha allargato il consenso alle categorie sociali contrarie alla norma e raccolto l’appoggio di uno degli alleati riottosi del governo. Sulla carta, comunque vada, è una vittoria schiacciante sua e del suo gruppo parlamentare. Invece, siccome la democrazia italiana è quella cosa bislacca che corre sempre sul sottile crinale dell’eterogenesi dei fini, il povero Costa non è più profeta in patria. Invece di congratularsi con lui per l’indubbio successo, infatti, il deputato ha il cellulare intasato di sms di colleghi forzisti che, tra la paura e l’ira, gli chiedono cosa si sia mai messo in testa di fare. Far cadere il governo e chiudere così la diciottesima legislatura, forse? Tradotto, rispedirli a cercare consenso nel Paese, proprio nel picco più basso di Forza Italia, che beccheggia sotto la soglia dell’irrilevanza elettorale? Insomma, sarebbe il caso di fermarsi e riflettere se ci sono le condizioni politiche per segnare il gol, o se invece sia il caso di accontentarsi di un’azione da cineteca. Si affaccia quindi il rischio che, nella politica dei bluff, a essere costretto passare la mano per cause di forza maggiore sia proprio l’unico che ha il poker in mano.