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«Non vorrei che Stefano Cucchi morisse per la terza volta. Prima lo hanno ucciso servitori dello Stato in divisa, si tratta di stabilire solo il colore, poi servitori dello Stato in camice bianco». Il sostituto Procuratore generale della Corte dappello di Roma, Eugenio Rubolino, non usa mezze misure. Al termine di una durissima requisitoria, ha chiesto la condanna dei cinque medici dellospedale Pertini che ebbero in cura Stefano Cucchi, il 32enne geometra romano che morì il 22 ottobre 2009 dopo un ricovero di sei giorni, una vera agonia.Il rappresentante della pubblica accusa, nellambito del processo di appello bis dopo lannullamento dellassoluzione dei medici da parte della Cassazione, ha sollecitato una condanna a 4 anni di reclusione per il primario Aldo Fierro e una a 3 anni e mezzo per i sanitari Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo. Laccusa è quella di omicidio colposo.Per Rubolino, i cinque imputati non possono meritare la concessione delle attenuanti generiche, anche se sono incensurati. «Lo era pure Stefano Cucchi, giustamente arrestato per la prima volta ha osservato il sostituto Pg . La realtà è che la vicenda presenta profili di colpa ai confini di un dolo eventuale, una colpa con previsione, una colpa gravissima. Chi lavora in un reparto protetto come quello del Pertini dovrebbe avere unattenzione e una preparazione maggiore nel riconoscere nei pazienti una sindrome da malnutrizione attribuita a Cucchi; ed essere abituato a quei detenuti che spesso fanno lo sciopero della fame per rivendicare pretese giudiziarie».Durissime le sue accuse nei confronti degli imputati: «Cucchi è stato trascurato durante la sua degenza. Potevano e dovevano intervenire e invece fino allultimo al ragazzo è stata somministrata solo dellacqua, quando ormai era già cominciato quello che i periti hanno definito un catabolismo proteico catastrofico. Stefano, cioè, si stava nutrendo delle sue stesse cellule e perdeva un kg al giorno. Al momento del decesso il suo peso si aggirava intorno ai 37 kg. Per Cucchi quellospedale era lequivalente di un lager. La sua morte orribile e tragica ricorda per certi versi quella di Giulio Regeni». Il ricercatore friulano, morto al Cairo lo scorso febbraio, dopo atroci torture.Per la Procura Generale la Cassazione ha evitato che sulla vicenda calasse una pietra tombale: «Già allingresso al Pertini sono state riportate circostanze chiaramente false sulla cartella clinica di Cucchi: era un bradicardico patologico, con 40 battiti cardiaci al minuto (rispetto ai 60 fisiologici), eppure i medici non gli hanno mai preso il polso. Presentava una frattura alla vertebra sacrale per il pestaggio avvenuto nelle fasi successive allarresto, aveva un trauma sopraccigliare con scorrimento del sangue, per migrazione, sotto gli occhi, aveva un forte dolore fisico in conseguenza di quellaggressione, eppure gli è stato solo somministrato un antidolorifico che ha contribuito a rallentare il cuore, già indebolito perchè non irrorato. Lapparato muscolare nel suo complesso venne definito tonico e trofico ma il paziente non aveva neppure i glutei per poter avere una iniezione. Cucchi rifiutava le terapie e non mangiava perchè nessuno lo metteva in contatto col suo avvocato. Nessuno si è preoccupato di riferire ad altri le sue esigenze».Per la Procura Generale, poteva bastare un farmaco che desse vigore al battito del suo cuore, un po di acqua con zucchero, forse, per migliorare una situazione gravemente compromessa. «Cucchi ha concluso Rubolino non doveva stare in quel reparto perchè non era stabilizzato. Eppure si è fatto in modo che venisse ricoverato lì, in quella struttura protetta lontana da occhi e orecchi indiscreti».