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Basta col saccheggio indiscriminato e con la diffusione impropria di dati da cellulari e computer: può sintetizzarsi così la circolare che qualche settimana fa il Procuratore Generale della Repubblica di Trento, Giovanni Ilarda, ha inoltrato non solo ai suoi colleghi procuratori del distretto ma addirittura al Procuratore Generale di Cassazione, Giovanni Salvi. In essa il dottor Ilarda chiede alla figura apicale di Piazza Cavour «di voler valutare l’opportunità di iniziative dirette a promuovere linee di orientamento e indirizzo uniformi sull’intero territorio nazionale» in materia di sequestro di telefoni e computer, copia forense dei contenuti, «riversamento agli atti del procedimento della sola messaggistica rilevante ai fini delle indagini». Quest'ultimo tassello lo avevamo sottolineato qualche giorno fa, parlando dell'affaire Renzi/Open/Fatto Quotidiano: c'è un problema che il legislatore deve risolvere e riguarda appunto l'inserimento nel fascicolo di indagine di materiale irrilevante che però, finendo sui giornali, può ledere la reputazione degli indagati e della loro cerchia relazionale. Se a ciò si aggiunge che tale materiale rimane nei cassetti delle procure e della polizia giudiziaria sine die, ecco che la nostra privacy è a rischio. Ilardi è stato pubblico ministero negli anni di piombo e delle stragi in Sicilia, prima come sostituto procuratore della Repubblica e componente della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, poi come sostituto procuratore generale, occupandosi soprattutto di processi contro la P.A. e di criminalità organizzata. Da un magistrato antimafia ci si aspetterebbe un'altra filosofia di indagine, più incline ad ampliare i confini di operatività dell'azione inquirente. Invece proprio lui ha ritenuto «necessario ed urgente richiamare l’attenzione su quanto di seguito rappresentato», ossia porre dei limiti all'utilizzo di quanto acquisito, previa selezione accurata e non a strascico del materiale. Vediamo nel dettaglio. Primo: «Il dispositivo di comunicazione mobile (ma analoghe considerazioni valgono nel caso di sequestro di un computer) può essere sequestrato al solo al fine di estrarre i dati nello stesso memorizzati e va immediatamente restituito non appena eseguita la c.d. copia forense». Lo dice la Cassazione, ricorda Ilarda: «L'autorità giudiziaria, quindi, può disporre un sequestro dai contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, alla immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti». Secondo: «il principio di proporzionalità impone, poi, che il sequestro sia rigorosamente mantenuto sui soli dati della copia forense rilevanti ai fini delle indagini» perché, sottolinea Ilarda, «un riversamento agli atti del procedimento della copia forense nella sua interezza, comprendente anche chat o messaggi con contenuto irrilevante per il processo, implica, invece, un’inammissibile ed illecita diffusione di dati che attengono alla sfera personale, intima ed inviolabile di ogni individuo e non è assolutamente consentito, perché comporta, inevitabilmente, fra l’altro, la possibilità di divulgazione di fatti lesivi dell’onorabilità e della reputazione della persona, di dati penalmente irrilevanti che possono, però, risultare devastanti per la vita dei soggetti coinvolti (anche se estranei al procedimento)». Ilarda ha centrato perfettamente il punto, sostenuto sempre da una giurisprudenza di legittimità perfettamente coerente con la nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche ma spesso ignorata dai suoi colleghi: «La c.d. copia integrale è una copia servente, una copia "mezzo" e non una copia "fine". Ne deriva che, restituito il contenitore, il pubblico ministero può trattenere la copia integrale solo per il tempo strettamente necessario per selezionare, tra la molteplicità delle informazioni in essa contenute, quelle che davvero assolvono alla funzione probatoria sottesa al sequestro» (Cass. 2020, n. 13156; Cass. 2020, n. 34265). Terzo: i duplicati della copia forense messi a disposizione della polizia giudiziaria, «di cui non risulta la finalità e la cui formazione appare di dubbia legittimità, vanno in ogni caso immediatamente restituite all’avente diritto o distrutte, unitamente a qualunque duplicato riversato in qualsiasi altro supporto informatico, una volta effettuata la selezione dei soli dati rilevanti risultanti dalla copia forense». Bisogna infatti evitare la formazione di veri e propri archivi di massa paralleli distinti dal Ced istituito presso il ministero dell’Interno. Quarto: Ilarda rileva che «talora la polizia giudiziaria è stata incaricata, genericamente, di una non meglio precisata “analisi” dei dati, senza alcuna definizione del perimetro all’interno del quale effettuare la selezione, con l’attribuzione, quindi, di un vero mandato esplorativo in bianco dell’intera massa dei dati». Questa prassi deve finire e deve essere «espressamente precisato che debbono essere selezionati esclusivamente i dati probatoriamente rilevanti per l’accertamento del reato per il quale si procede». Quinto: «Le circostanze fattuali penalmente rilevanti delle quali si sia venuti a conoscenza, se privi di valore probatorio ai fini dell’accertamento del reato per il quale si procede, non possono essere riversati nel relativo procedimento, ma debbono formare oggetto di separata comunicazione di notizia di reato».