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Il carcere Dozza di Bologna
In un provvedimento destinato a fare scuola, il magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, ha accolto il reclamo di un detenuto della Casa circondariale di Terni, recluso nel circuito di Alta Sicurezza (AS), ordinando all’amministrazione penitenziaria di consentirgli colloqui intimi con la compagna convivente, senza controllo a vista del personale di polizia penitenziaria. La decisione, contenuta nell’ordinanza n. 402025/ 149, applica in modo stringente la sentenza della Corte Costituzionale n. 10/ 2024, che ha riconosciuto il diritto all’affettività dei detenuti come espressione della dignità umana.
Il detenuto sta scontando una pena definitiva per reati ascritti al circuito di alta sicurezza (art. 4- bis ordinamento penitenziario), ma non è sottoposto ai regimi speciali del 41 bis o della sorveglianza particolare (art. 14- bis).
Da mesi, attraverso il suo avvocato, aveva richiesto alla Direzione del carcere di Terni di poter incontrare la partner in un ambiente riservato, senza la presenza visiva degli agenti, come previsto dalla storica pronuncia della Consulta del gennaio 2024.
La richiesta, però, era stata respinta con un provvedimento del 28 settembre 2024, in cui la Direzione sosteneva di aver avviato sopralluoghi per individuare locali idonei, ma di essere ostacolata da “difficoltà economiche e strutturali”, nonché in attesa di “istruzioni dagli uffici superiori”. Il detenuto, supportato dal parere favorevole del pm, ha dunque presentato reclamo al magistrato di sorveglianza, denunciando un “grave pregiudizio” al proprio diritto all’affettività, accentuato dal desiderio di genitorialità coltivato con la compagna, anche attraverso percorsi di procreazione medicalmente assistita.
LA SENTENZA NON AMMETTE DEROGHE
Il cuore della disputa risiede nell’applicazione della sentenza n. 10/ 2024, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 18 della legge 354/ 1975, nella parte in cui non prevede colloqui intimi per i detenuti con coniugi, partner di unioni civili o conviventi stabili. La Consulta ha sottolineato come l’esercizio dell’affettività sia un diritto fondamentale, legato alla dignità della persona, che può essere limitato solo da ragioni di sicurezza, ordine pubblico o esigenze giudiziarie (per gli imputati).
La Corte ha fornito indicazioni molto precise riguardo alla conduzione dei colloqui, delineando criteri che vanno ad integrare le esigenze di sicurezza con il rispetto della vita affettiva dei detenuti. In primo luogo, si stabilisce l’esclusione dai regimi speciali, come il 41- bis e il 14- bis, pur ammettendo l’eccezione per quei detenuti in alta sicurezza accusati di reati definiti ' ostativi'. Inoltre, è stato sottolineato che la durata dei colloqui deve essere sufficientemente lunga da permettere un’espressione piena e autentica dell’affettività, garantendo così il giusto equilibrio tra le necessità di comunicazione e le restrizioni previste dal contesto carcerario.
Parallelamente, la Corte ha evidenziato l’importanza di disporre di spazi appropriati per lo svolgimento di tali incontri. Questi dovranno essere strutturati in modo da garantire la massima riservatezza, attraverso l’utilizzo di unità abitative attrezzate o locali dedicati, esenti da controlli visivi o auditivi e, se possibile, situati in aree che assicurino l’isolamento dagli sguardi esterni. Un ulteriore elemento di rilievo riguarda la necessità di una verifica preliminare: è infatti fondamentale accertare la stabilità del legame affettivo tra le parti e assicurarsi che non sussistano divieti di natura giudiziaria che possano ostacolare tali contatti. Infine, è stata data priorità ai detenuti che non beneficiano dei permessi premio, affinché l’accesso a questi incontri possa essere distribuito in maniera equa e mirata.
In questo modo, le misure adottate cercano di coniugare il rispetto dei diritti affettivi dei detenuti con le esigenze di sicurezza e ordine all’interno del sistema carcerario. Nonostante la Corte avesse ammonito sul “notevole sforzo organizzativo” richiesto, ha imposto alle amministrazioni penitenziarie di attuare subito la decisione, anche con soluzioni temporanee, in attesa di un intervento legislativo.
IL MAGISTRATO: RITARDI INACCETTABILI
Nell’ordinanza, il magistrato Gianfilippi mette in discussione le giustificazioni avanzate dalla Direzione di Terni, evidenziando in maniera approfondita due profili critici. Da un lato, egli sottolinea i ritardi strutturali: nonostante siano trascorsi più di dodici mesi dalla sentenza della Consulta e, nonostante i solleciti reiterati — tra cui una nota del 5 febbraio 2024 — il carcere non ha ancora avviato alcun intervento volto ad adeguare gli spazi. Il progetto proposto, che prevedeva la realizzazione di due prefabbricati adiacenti all’area verde, resta confinato in una fase preliminare e non viene accompagnato da tempistiche precise che possano garantire una sua effettiva realizzazione.
Dall’altro lato, critica la mancanza di personalizzazione nell’analisi dell’istanza: il diniego è stato motivato con critiche generiche e prive di elementi specifici relativi al detenuto. Tuttavia, l’istruttoria ha messo in luce un quadro ben diverso. Il detenuto, infatti, gode di una condotta esemplare, tanto da essere stato espressamente lodato in dicembre 2024 per il suo impegno nel lavoro in cucina. Inoltre, sono stati documentati contatti regolari con la compagna e, non avendo mai usufruito dei permessi premio, rientra tra i casi prioritari individuati dalla Consulta. Alla luce di questi elementi, il magistrato conclude che non vi sono ragioni di sicurezza o motivi disciplinari in grado di giustificare il diniego richiesto. Sottolinea, infatti, che l’appartenenza al circuito dell’alta sicurezza, che limita i benefici penitenziari, non può essere considerata di per sé un ostacolo ai diritti fondamentali, evidenziando così come la valutazione complessiva debba basarsi su elementi specifici e personalizzati piuttosto che su criteri generici.
LA DECISIONE: 60 GIORNI PER ADEGUARSI
Il magistrato ha stabilito che la Casa circondariale di Terni debba procedere, entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento, a individuare degli spazi adeguati per garantire la riservatezza e l’assenza di controlli visivi durante gli incontri. Se dovessero presentarsi difficoltà nel trovare soluzioni permanenti, l’istituto è invitato ad adottare misure temporanee, come il riadattamento di locali esistenti, in attesa della realizzazione di strutture più complesse e definitive. Una volta messi in atto questi interventi, sarà necessario comunicare l’avvenuta esecuzione all’Ufficio di sorveglianza, assicurando così un controllo e una trasparenza sull’operato dell’amministrazione. Come si legge nell’ordinanza, l’amministrazione non può nascondersi dietro l’attesa di direttive centrali o addurre difficoltà economiche, soprattutto quando in gioco c’è un diritto costituzionale. La sentenza 10/ 2024, infatti, impone l’adozione di azioni concrete, anche se provvisorie, per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. Il caso di Terni non è isolato. La recente sentenza della Cassazione n. 8/ 2025 ha già stabilito che i colloqui intimi non sono una “mera aspettativa”, ma un diritto esercitabile salvo specifici motivi di sicurezza. L’ordinanza di Spoleto rafforza questo indirizzo, segnalando alle carceri italiane l’urgenza di adeguarsi. In questo scenario, per il detenuto di Terni e la sua compagna si apre finalmente, dopo mesi di attesa, la possibilità di incontrarsi in un ambiente che garantisca la necessaria riservatezza. Questo incontro, seppur piccolo nel contesto più ampio delle riforme penitenziarie, rappresenta un significativo passo verso quel “volto costituzionale della pena” tanto esaltato dalla Consulta, il quale riconosce che, anche in condizioni di privazione della libertà, non si può in alcun modo negare la dignità dell’amore.