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SOLO COSÌ SI PUÒ FAVORIRE IL REINSERIMENTO SOCIALE
FOUNDER ECONOMIA CARCERARIA
Il 1975 è sicuramente l’anno più importante dopo la nascita della Repubblica per quanto concerne l’evoluzione legislativa del sistema penitenziario: viene promulgata la legge n. 354 sull’ordinamento del sistema penitenziario. Regolamento tutt’ora valido dopo quasi 50 anni, seppur con qualche lieve modifica, anche e soprattutto nell’aspetto del lavoro.
Il primo articolo che cita il lavoro è l’art. 15 e lo classifica come uno degli strumenti fondamentali per il trattamento del condannato e dell’internato. Il comma 2, aggiunge che il lavoro debba essere assicurato ad ogni detenuto, con l’inciso «salvo casi di impossibilità» ; senza però chiarire se tale impossibilità riguarda la persona detenuta o l’organizzazione dell’istituto penitenziario. Infine, il terzo comma cerca di dare risalto all’importanza della scelta individuale della persona nell’assegnazione del lavoro o ai corsi di professionalizzazione. Gli articoli 20 e 21 vanno a disciplinare ancora meglio e più specificamente l’accesso al lavoro. La prima formulazione del comma 1 art. 20, rimasta tutt’ora vigente, indica in maniera più perentoria che la destinazione dei detenuti al lavoro e la partecipazione ai corsi di formazione debbano essere «favorite in ogni modo possibile» dall’amministrazione penitenziaria; il lavoro, quindi, non deve essere considerato un privilegio o un premio, bensì un diritto di cui ogni detenuto può godere e, d’altra parte, impegna le direzioni penitenziarie affinché questo sia fruibile.
Fino al 2018 inoltre fu in vigore l’obbligatorietà al lavoro per i condannati e i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro. Sin da subito si è ritenuto importante fissare per legge che il lavoro fosse remunerato e in nessuna maniera presentare caratteri di afflittività. Nel 1975 non era previsto che aziende private potessero avere lavorazioni all’interno delle mura carcerarie e assumere internamente detenuti, questi erano assunti direttamente dall’amministrazione penitenziaria per i lavori cosiddetti d’istituto ( spesino, portavitto, piantone, scrivano) o come impiegati in lavorazioni gestite dalla direzione. Gli unici criteri per l’assegnazione del lavoro riguardavano desideri e attitudini delle persone detenute considerando le loro precedenti attività e una loro occupazione futura da liberi.
L’unica possibilità per una ditta esterna di impiegare detenuti era disciplinata dall’articolo 21 che prevede la possibilità di lavorare all’esterno per imprese pubbliche o private.
Purtroppo, questa possibilità inizialmente fu molto difficile da attuare in quanto la legge imponeva che i detenuti ammessi al lavoro esterno fossero scortati per tutto il tempo del lavoro, implicando costi ed ulteriori sforzi organizzativi per l’amministrazione del carcere. Il comma più importante, tutt’ora vigente, nonostante le varie innovazioni susseguite, è sicuramente il quinto. Si tratta di un comma fondamentale in quanto specifica che l’attività lavorativa non deve rispondere solamente ad un diritto del detenuto a lavorare ma «l’organizzazione e i metodi del lavoro devono riflettere quelli del lavoro nella società libera».
Solamente rispettando questo comma il lavoro in carcere può diventare uno strumento per favorire la futura risocializzazione del detenuto e l’inserimento nel mondo lavorativo.