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Marcello Dell’Utri deve uscire di prigione. Perché? Per un mucchio di ragioni. Perché è malato, innanzitutto, e rischia di morire. Perché è anziano. Perché è stato condannato a una lunga pena sulla base di un reato che non esiste nel codice penale. Perché il codice penale dice che nessuno può essere condannato se non per un reato espressamente previsto dalla legge. Perché la Corte Europea ha accertato che quantomeno fino al 1992 il reato per il quale è stato condannato Dell’Utri non esisteva nemmeno in giurisprudenza, e i fatti ai quali si riferisce la condanna sono anteriori al 1992.
Servono altre spiegazioni? No, la detenzione di Dell’Utri è un abuso. Un abuso piuttosto clamoroso. Il diritto vale anche per Dell’Utri? O è meglio che crepi in cella?
Però quasi nessuno se ne occupa per la semplice ragione che molto prima che i tribunali emettessero le loro sentenze, il processo mediatico aveva già largamente condannato l’ex senatore. Per quale reato? I tribunali mediatici ne sanno poco di “concorso esterno in associazione mafiosa” ( è questo il reato, non previsto dal codice, per il quale dell’Utri è detenuto) e quindi hanno trovato reati più semplici e comnprensibil: avere fondato Publitalia, e poi avere fondato Forza Italia, essere stato l’uomo forte di Berlusconi e infine – non ultimo – essere siciliano. E quindi probabilmente mafioso. Questi fatti hanno creato un alone di colpevolezza intorno a lui, che è quasi impossibile disperdere. Chi prova a difendere Dell’Utri e i suoi diritti – in quanto detenuto, in quanto cittadino, in quanto persona – si trova immediatamente addosso l’accusa di amico dei mafiosi.
Dell’Utri è in prigione da vari anni. Più di tre. I medici che lo hanno visitato hanno accertato che le condizioni sue di salute, in particolare una cardiopatia ischemica cronica, non sono compatibili con la vita in carcere. In aprile, i legali di Dell’Utri hanno presentato una nuova istanza al tribunale di sorveglianza per chiedere la detenzione domiciliare. La risposta è stata la fissazione dell’udienza al 21 settembre. Cinque mesi di tempo per aspettare cosa? Vedere se nel frattempo l’imputato muore e risolve il problema?
Le prigioni italiane pullulano di casi di ingiustizia. Tante persone sconosciute stanno in carcere e non dovrebbero ( sebbene i giornali, e parte della magistratura, insistano sul concetto che le celle sono vuote e che non esiste la certezza della pena). Molto spesso non è la certezza della pena, che manca, ma la certezza del reato. E allora perché indignarsi proprio per Dell’Utri? Non è uno come un altro?
Si, è uno come un altro, ed esattamente per questo motivo io protesto. Perché Dell’Utri è al tempo stesso vittima – diciamo così – di un errore ( anzi, di tanti errori), come molti altri, ma è anche vittima “privilegiata” di una sorta di accanimento. È un errore non applicare a lui la sentenza della Corte europea che lo scagiona. È un errore non tenere conto della sua età avanzata ( ha quasi ottant’anni, proprio come quel detenuto che è morto giorni fa a Parma, ed era stato scarcerato solo quando era ormai in agonia), è un errore rinviare a settembre la decisione del tribunale sulle sue condizioni di salute. Ma è molto probabile che alcuni di questi errori siano stati commessi consapevolmente. Non dico con spirito di persecuzione, non credo. Dico sotto l’influenza dell’opinione pubblica, dell’antimafia professionale, del popolo viola diventato grillino, di Rosy Bindi e tanti altri. Cioè in una condizione di vera e propria intimidazione, nella quale la foga “giustizievole” supera il diritto, lo prevarica e l’umilia. A questa foga si oppongono forze molto esili. Ha alzato la sua voce il garante dei detenuti, Mauro Palma, ha alzato la sua il senatore Luigi Manconi, esponente molto combattivo della sinistra e - rara avis – esponete garantista. Il quotidiano Il Tempo ha avviato una raccolta di firme. E poi? I partiti politici osano sfidare il senso comune? Temo di no. È triste, tutto questo, molto triste. Triste per la sorte di Dell’Utri, sì, ma non solo.