Il decreto “Carcere sicuro”, approvato lo scorso agosto su impulso del ministro Nordio, arriva all’attenzione della Corte costituzionale nella parte riguardante la liberazione anticipata. Un giudice dell’ufficio di sorveglianza di Napoli ha sollevato, infatti, questione di legittimità costituzionale della norma per violazione degli articoli 3 e 27 “nella parte in cui si subordina la richiesta del beneficio della liberazione anticipata alla possibilità di rientrare, nei limiti di pena per accedere a misure alternative (90 giorni anteriori) o di ottenere nello stesso termine la scarcerazione ovvero nella parte in cui si impone al detenuto, per la valutazione della richiesta, di indicare le ragioni specifiche per le quali si richieda il beneficio stesso”.

A richiedere il beneficio nel periodo compreso tra il 18/1/2024 e il 18/1/2025 è stato un detenuto con fine pena nel 2040 ma per l'attuale legge la sua richiesta sarebbe da considerare inammissibile. Secondo il magistrato di sorveglianza, invece, “il riservare a un giudizio lontano, finale e condizionato dall’andamento globale dell’esperienza carceraria, rischia di compromettere il comportamento del detenuto e la sua adesione alle proposte rieducative interne, vanificando, nel divenire quotidiano, la rieducazione, costituzionalmente imposta”. 

La norma censurata arriverebbe al contrario ad “annullare ogni incentivo psicologico” alla rieducazione “frustrandone lo scopo a causa dell'incertezza che il futuro potrebbe riservare agli sforzi adesivi degli interessati. In questa logica gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione riceverebbero grave lesione”. Il giudice ricorda come già la Corte Costituzionale (sentenza n. 276/1990) “aveva evidenziato come la valutazione semestralizzata nella concessione della liberazione anticipata fosse da considerare ‘il punto di forza dello strumento rieducativo, che si collega agli insegnamenti della terapia criminologica … una sollecitazione che impegna le energie volitive del condannato alla prospettiva di un premio da cogliere in un breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca a dare adesione all’azione rieducativa’”.

Al contrario la riforma approvata sette mesi fa “crea uno scarto tra condotta adesiva all’opera di rieducazione e beneficio da riconoscere con imputazione semestralizzata, incidendo sulla regola di progressione trattamentale. Così operando la riforma rischia di consolidare un ridimensionamento importante degli atteggiamenti adesivi dei detenuti”. Il pericolo è che i reclusi, vedendosi allontanare il premio trattamentale della riduzione di pena, si comportino in maniera opposta a quella di un percorso rieducativo “abdicando a spinte in senso contrario”.

Il magistrato ribadisce che “la dimensione trattamentale progressiva della liberazione anticipata vive proprio di questo nucleo strutturale essenziale: vedersi riconoscere, per ogni semestre di pena, la riduzione della restrizione. Il tutto con una decisione immediata e sostanzialmente coeva o di poco successiva al completamento del semestre stesso. Essa funge da meccanismo incentivante per il detenuto e la partecipazione alla risocializzazione riesce ad avviare il ristretto ad una vera rieducazione e ad un progressivo reinserimento sociale. L’intervento riformatore attuato con l’art. 5 (Interventi sulla liberazione anticipata) del d.l. 4 luglio 2024, n. 92 (decreto “carcere sicuro”) conv. in l. 8 agosto 2024, n. 112, va in una direzione opposta”.

Il giudice spiega anche l’importanza di un eventuale rifiuto della liberazione anticipata: “In una logica di progressione trattamentale, anche un decisum negativo può avere un significato pedagogico ed indurre a rielaborare, in chiave costruttiva, eventuali e possibili condotte, che siano state ritenute non conformi all’opera di rieducazione offerta al detenuto”. Conclude il magistrato di sorveglianza: “La norma, come riformulata, pertanto, priva in maniera irragionevole il detenuto della possibilità di chiedere il beneficio e di fruire di uno stimolo, durante l’espiazione della pena che è, specie in caso di lunghe detenzioni, con fine pena non prossimo, il vero motore esecutivo della rieducazione quotidiana di colui che subisce l’esecuzione della sanzione, caratterizzata, per definizione, da un’innegabile portata di afflizione”.

Questa ordinanza mette dunque in discussione una parte importante del decreto voluto dal Guardasigilli: pensato per fronteggiare l’emergenza carceraria, in realtà non se ne conoscono ancora i frutti. Ieri il sedicesimo suicidio dall’inizio dell’anno: un giovane di 34 anni si è tolto la vita nel carcere napoletano di Poggioreale e il sovraffollamento non tende a diminuire.

In questi mesi si erano evocati da parte di giuristi e delle minoranze parlamentari, proprio al fine di ridurre il problema dell’overcrowding e migliorare la vivibilità negli istituti di pena, provvedimenti normativi volti a incrementare il numero di giorni concedibili per ogni semestre di pena espiata, passandoli dagli attuali quarantacinque a sessanta, o addirittura a settantacinque. Stiamo parlando della proposta di legge del deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, elaborata insieme a Nessuno Tocchi Caino.

Proprio la prossima settimana, probabilmente giovedì, alla Camera si terrà una seduta straordinaria dell’Aula su richiesta delle opposizioni per discutere due mozioni sulle carceri, in cui tra l’altro si chiede di accelerare l’iter di approvazione della pdl Giachetti. La premessa, come spiegato in una conferenza stampa, è esattamente il fallimento del decreto carceri. Il ministro Nordio e la premier Meloni hanno però ripetuto più volte che non intendono mettere in atto misure deflattive orizzontali per puntare invece sull’edilizia carceraria, per la quale ancora non viene reso noto un progetto da parte del commissario.