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Magistrati contro, tra dita puntate e accuse. E’ quasi uno scenario di guerra, quello del Csm: un tutti contro tutti in cui vale la regola del sospetto di chi ha ricevuto favori da chi e perchè. E’ la vendetta di Luca Palamara, che non ci sta ad essere l’unico a rotolare nella polvere e ora punta a squarciare ogni velo su quello che - a suo dire - è il meccanismo che guida le nomine dei togati.
In questo contesto da resa dei conti è intervenuto il vicepresidente dell’Organo di autogoverno della magistratura, David Ermini: con una durezza che non gli è propria, sulla falsariga degli ultimi ammonimenti del Capo dello Stato e presidente del Csm, Sergio Mattarella. «Tutti gli organi che hanno delle loro specifiche competenze stanno esaminando atto per atto, chat per chat, intercettazione per intercettazione, tutto quello che è accaduto», è il preambolo che fa presagire una partita ancora lunga da giocare. Inoltre, «il procuratore generale presso la Corte di Cassazione che ha istituito un gruppo di lavoro per esaminare tutti gli atti e verificare se ci siano illeciti disciplinari su tanti magistrati che compaiono sulle intercettazioni, negli atti e nelle chat. In più, dentro il Csm, la prima Commissione del Consiglio sta esaminando se ci siano questioni che possano creare situazioni di incompatibilità ambientale o professionale per i vari consiglieri che compaiono nelle chat e nelle intercettazioni per eventualmente disporre anche dei trasferimenti» . L’avvertimento nelle parole di Ermini è chiaro: nessuno si senta di averla fatta franca, anche a costo di inficiare le nomine fatte negli ultimi anni.
Il punto, però, sono sempre le correnti, le stesse che acquisirono potere quando, «tra il 2006 e il 2008 si tolsero i paletti fissi sulle nomine e venne data ampia discrezionalità al Csm», in modo che potesse «scegliere sul merito». La scelta venne fatta per evitare un nuovo caso Falcone, bocciato dal Csm per la carica di capo del tribunale di Palermo per nominare un magistrato più anziano, «Ma la scelta sul merito è stata un fallimento perché spesso si è preferito scegliere sulla base dell’appartenenza, quindi la discrezionalità è stata usata male perché non si è mai reciso quel cordone ombelicale tra la correnti, tra quelle che sono la struttura dell’associazione nazionale che è il sindacato, e il Consiglio Superiore». In sintesi, le correnti hanno distorto il meccanismo delle nomine legandole all’appartenenza politica e permettendo così che si creasse il cosiddetto sistema Palamara. Invece, «Una volta che le correnti, che anche i gruppi parlamentari che indicano i non togati all’interno del Consiglio, hanno scelto i loro rappresentanti, devono recidere quel cordone e quindi i consiglieri devono assolutamente liberi e non vincolati da nessun tipo di rapporto. Bisogna tutelare in tutti modi coloro che non appartengono alle correnti o che non fanno vita associativa perché non è giusto che solo chi appartiene alle correnti abbia la possibilità di avere dei successi personali». Ormai, dunque, non regge più nemmeno la teoria della mela marcia e del fatto che Palamara possa essere stato una devianza isolata nel complesso meccanismo delle nomine. Cosa questo significhi, in concreto, per l’organizzazione del Csm è ancora presto per dirlo. Esiste la dimensione più impellente: come risanare un’immagine pubblica della magistratura fortemente inquinata, ma anche come gestire le responsabilità disciplinari a carico di altri togati, che potrebbero sorgere ad un ulteriore approfondimento delle intercettazioni di Palamara. Esiste poi anche il piano più politico. Dopo anni di duri contrasti tra politica e magistratura, oggi che le toghe stanno vivendo una parabola discendente è la politica a dover mettere mano alla riforma del sistema. La bozza della riforma è ancora sulla scrivania di Bonafede e, se i tratti salienti sono noti, mancano ancora certezze. Eppure, il nodo da sciogliere è quello del correntismo e le sue degenerazioni: in pochi confidano nel fatto che basti modificare il sistema elettorale del Csm per risolverlo.
La domanda vera, poi, rimane il non detto che spaventa: fino ad ora il trojan nel cellulare di Palamara è costato la carriera a cinque membri del Csm, un procuratore generale di Cassazione e un capo di gabinetto di Via Arenula. Ma quanti altri nomi - e soprattutto a che livello - sono rimasti impigliati nella rete a strascico delle captazioni informatiche e quanti, a loro volta, verranno trascinati dal meccanismo d’indagine nell’indagine anticipato da Ermini? La stagione dei veleni è ben lontana dall’essere conclusa e c’è la concreta ipotesi che la rifondazione della magistratura auspicata dal Capo dello Stato nei fatti avvenga attraverso un azzeramento dei suoi vertici, oltre che ad una riforma di sistema.