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«In coerenza con la finalità terapeutica delle Rems, occorre limitare il ricovero nelle Rems ai soggetti nei cui confronti viene applicata una misura di sicurezza detentiva definitiva». L’invito a limitare il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) ai soggetti nei cui confronti viene applicata una misura di sicurezza detentiva definitiva, è uno delle raccomandazioni contenute nel parere "Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere" pubblicato dal Comitato nazionale di bioetica che sottolinea come la salute mentale in carcere rappresenta un’area particolarmente critica nell’ambito della tutela della salute generale delle persone condannate al carcere. «Se il carcere per sua natura comprime i diritti individuali – si legge nel documento - la salute mentale in particolare è insidiata dalla sofferenza legata allo stato di costrizione e di dipendenza totale del detenuto per qualsiasi necessità della vita quotidiana». Il comitato nazionale di bioetica ritiene che dall’incompatibilità fra il carcere e la salute mentale discende l’indicazione che la presa in carico delle persone con disturbo psichiatrico debba avvenire di regola al di fuori del carcere, nel territorio. «La cura psichiatrica in carcere – viene sottolineato nel documento - dovrebbe essere limitata alle persone con disturbi minori, oppure al ristretto numero di coloro per cui non sia possibile applicare un’alternativa alla carcerazione a fine terapeutico». Il Comitato di bioetica ricorda che la salvaguardia della salute mentale non coincide con l’assistenza psichiatrica, per quanto importante essa sia: l’invito del Comitato è a predisporre un ambiente sufficientemente adeguato a mantenere l’equilibrio psichico delle persone detenute e a non aggravare lo stato di chi già soffre di disturbi, assicurando in primo luogo condizioni dignitose di detenzione e il rispetto dei diritti umani fondamentali.Il nodo salute mentale- carcere è complicato da altre questioni, fra cui, a monte, il diverso trattamento penale ( il cosiddetto “doppio binario”) cui possono essere sottoposti gli autori di reato con problematiche psichiatriche. Alcuni (i cosiddetti “folli rei”), giudicati non- imputabili per vizio di mente (totale o parziale) e perciò prosciolti per essere però sottoposti a misura di sicurezza in Ospedale Psichiatrico Giudiziario – Opg; ciò avveniva prima della legge 81/ 2014 che ha chiuso gli Opg: oggi invece i prosciolti sono avviati al nuovo articolato sistema di presa in carico territoriale, di cui fanno parte le Residenze per la Esecuzione della Misura di Sicurezza- Rems. Altri, i cosiddetti “rei folli”,giudicati imputabili e condannati al carcere, quando sviluppavano un disturbo psichiatrico grave o andavano incontro a un aggravamento di una precedente patologia, erano trasferiti in Opg. «Oggi – denuncia sempre il Comitato nazionale di bioetica -, dopo la sua abolizione, i “rei folli” non godono della tutela cui avrebbero diritto, poiché manca una normativa chiara per stabilire la loro incompatibilità col carcere e indirizzarle a misure alternative a fine terapeutico».L’eredità dell’Opg è ancora viva sia sul piano concreto, per la sorte tuttora incerta delle varie tipologie di malati psichiatrici che affollavano questi istituti; sia soprattutto sul piano culturale, nel persistere della vecchia visione del malato psichiatrico quale soggetto di per sé pericoloso, e dunque da contenere più che da curare. «Tale concezione – viene sottolineato nel documento - è alimentata anche dall’eccessivo ricorso al “binario” di non imputabilità e di proscioglimento per “vizio di mente”, con corrispondente ampio utilizzo delle misure di sicurezza. Da qui la resistenza all’utilizzo di strumenti normativi che possano favorire la cura non in stato di detenzione, sia dei “rei folli”, sia “dei folli rei”, nonché i ritardi ad adeguamenti normativi in tale direzione».