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Maria Masi, presidente facente funzioni del Cnf
Il Consiglio nazionale forense aderisce a un progetto di giustizia riparativa, aprendo le porte delle sue sedi agli imputati ammessi all’istituto della messa alla prova per lo svolgimento di lavori socialmente utili, riaffermando così il ruolo di promozione sociale della avvocatura.
Una decisione deliberata ieri, nel corso di una riunione del plenum riunito in seduta amministrativa, durante la quale il massimo organo di rappresentanza dell’avvocatura ha deciso di aderire alla proposta di convenzione del ministero della Giustizia, presentata a maggio scorso dal dipartimento della Giustizia minorile e di comunità, con lo scopo di far svolgere lavori di pubblica utilità presso le sedi del Cnf e delle sue fondazioni per gli imputati che possono accedere a tale istituto.
L’impegno della Direzione generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del Dipartimento è quello di «dare attuazione ad un moderno sistema di misure e sanzioni di comunità, in linea con i più avanzati standard europei». Da qui la scelta di sfruttare l’istituto della messa alla prova, che realizza «una rinuncia alla potestà punitiva dello Stato, condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata ed assistita» e che trova applicazione per i reati punibili con una pena non superiore al suo massimo a 4 anni.
Introdotto nell’ordinamento giuridico italiano per gli adulti con la legge del 2014, prevede un programma di recupero con attività lavorativa gratuita con finalità sociali e di volontariato, da svolgere presso enti, organizzazioni e amministrazioni pubbliche. E si tratta di una risposta alle richieste avanzate dall’Europa sulla necessità di riformare il sistema sanzionatorio, basato sul carcere, riforma resa urgente dalla condanna inflitta all'Italia nel caso Torreggiani nel 2013. Una sentenza pilota, che evidenziò il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano, a partire dal sovraffollamento. Ma i fari si sono accesi anche su un sistema che, troppo spesso, dimentica la funzione rieducativa dalla pena, così come previsto dalla Costituzione, mirando semplicemente alla sua funzione punitiva. Una punizione resa in alcuni casi disumana dalla condizione delle carceri e dalla difficoltà di accesso alle misure alternative.
«È tra i primi sistemi a dare concretezza alla funzione specialpreventiva della sanzione - si legge nella proposta avanzata da via Arenula - prevedendo degli obblighi tanto nei confronti della persona offesa del reato, che deve essere ristorata del danno patito, quanto nei confronti della comunità, grazie alla prestazione obbligatoria di un lavoro di pubblica utilità: un impegno gratuito, per un periodo significativo, svolto con costanza e serietà presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le aziende sanitarie o le organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato». Insomma, quello che viene chiesto all’imputato è una riflessione sul significato dei propri gesti e il loro disvalore, riflessione da portare avanti attraverso un turno lavorativo gratuito per un periodo significativo di tempo. Sono migliaia le persone prese in carico dal ministero in questi anni, passando dai 511 imputati del 2014 ai 39.350 dello scorso anno. «Il Cnf, coerente con la funzione sociale del ruolo dell’avvocato - si legge in una nota diffusa dall’organo dell’avvocatura -, aderisce con convinzione al progetto rieducativo e confida in una crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso un sistema sanzionatorio non esclusivamente punitivo e maggiormente in linea con i principi più volte evocati dalla Cedu».