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Tema nascosto, sottovalutato, rimosso se non addirittura circonfuso da un alone negativo: le professioni. Che hanno conosciuto negli ultimi dieci anni una svalutazione direttamente proporzionale al calo dei redditi. Dopo due lustri di «mortificazioni», come le ha definite il presidente del Cnf Andrea Mascherin nell’accogliere la «svolta» dell’equo compenso, finalmente se ne ricomincia a parlare. Ci si accorge del ceto medio, dunque del lavoro autonomo. E a farlo è anche un particolare capitolo del Rapporto presentato ieri dal Censis. Riguarda soprattutto la minore «fascinazione» che le libere professioni sembrerebbero esercitare sui giovani: il calo percentuale (- 10%) degli under 40 che aprono o si associano a uno studio sta lì a certificarlo.
Evidente come il disincentivo più forte sia nelle possibilità di guadagno assai ridotte rispetto al passato. Ma in proposito, proprio dal “Rapporto sulla situazione sociale del Paese” che il Censis ha presentato ieri, arriva un segnale importante: nelle note per la stampa, quel capitolo sui professionisti è rubricato sotto la seguente intestazione: «Equo compenso e professioni, un argine al “caporalato intellettuale”». Segno che al Censis non sfugge il valore delle misure fortemente volute dall’avvocatura e definitivamente approvate proprio l’altro ieri in Parlamento.
I dati dell’istituto presieduto da Giuseppe De Rita hanno una valenza duplice quanto meno rispetto agli avvocati. Che non può essere certo assimilata alla contrazione numerica registrata per le attività professionali nel loro complesso, visto l’aumento costante degli iscritti all’albo. È allora ancora più interessante, proprio per questo motivo, segnalare un altro aspetto del focus dedicato dal Censis ai professionisti. Riguarda la “graduatoria” dei «problemi» con i quali si è dovuto fare i conti negli ultimi due anni. Ai primi posti compaiono voci in un modo o nel- l’altro legate alla redditività. E che proprio per questo danno valore e urgenza alle norme sull’equo compenso divenute legge l’altro ieri. Non a caso il mondo forense e tutte le altre categorie le hanno attribuito il segno di una «inversione di tendenza».
Nel dettaglio, risalta il calo complessivo del numero dei giovani professionisti a fronte della crescita nello specifico ambito dell’attività forense. Secondo le stime del Censis, tra il 2006 e il 2016 il numero dei professionisti under 40 si è ridotto di ben 10 punti percentuiali. Un calo notevole, misurato e non può essere un caso - proprio in coincidenza con l’abolizione delle tariffe minime. Meno certezze di reddito, meno «attrattività», sancisce l’istituto di ricerca. Assai meno vistoso il calo complessivo, calcolato dunque su tutti i professionisti attivi: nel 2016 se ne registrano appena 20mila in meno di quanti erano nel 2006 ( in percentuale non più di un punto). Dal rapporto presentato ieri, però, non si evoince quanto abbia pesato, su questo scarto tra minor numero di giovani e statistica totale quasi invariata, l’innalzamento della soglia per il congedo. Proprio considerata la specificità positiva della professione forense, in controtendenza quanto a capacità di attrarre i giovani, colpisce molto quel quadro relativo alle fonti del «disagio» professionale, legate a fattori economici e perciò sintomo delle notevolissime difficoltà materiali che ha dovuto scontare innanzitutto l’avvocatura. Su tutti, secondo gli avvocati, pesa di più il problema del «mancato» o «ritardato pagamento» della prestazione da parte dei clienti: è «il principale problema» registratio negli ultimi due anni, secondo l’ 80 per cento. Al secondo posto, sempre di squilibrio tra ricavi e costi si tratta: la parte di questi ultimi sostenuta per «motivi burocratici» è al secondo posto delle note dolenti, segnalata dal 66% degli avvocati. Al terzo posto, viene indicato, dal 45 per cento degli iscritti, il «calo della domanda». Il tutto a fronte di numeri che fanno dell’avvocatura italiana un fenomeno distinto, per dimensioni, rispetto a tutte le altre categorie, e che dunque moltiplicano a dismisura quei “pesi” classificati dal Censis. Il sì all’equo compenso, come segnala anche l’istituto di De Rita, arriva in un momento in cui sembra essere diventato davvero urgente.