PHOTO
«Leggere le dichiarazioni rese al Corriere Fiorentino dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per il quale “L’obiettivo principale resta la realizzazione degli Icam su tutto il territorio nazionale, quindi anche a Firenze”, ha riacceso in me la speranza che lo scempio dei bimbi in carcere possa finalmente finire come legge prevede: ovvero senza separarli dalle madri, anzi, al contrario, offrendo loro supporto in un percorso di rieducazione di cui la genitorialità non può e non deve essere esclusa», così dichiara il cappellano del carcere di Sollicciano, don Vincenzo Russo, che assieme all’associazione Progetto Firenze presieduto da Marcello Lensi ed esponente del Partito Radicale, si è impregnato per la realizzazione di un Icam.
«Sin dalle sue origini – continua il cappellano - l’Opera della Madonnina del Grappa è stata a fianco di madri e famiglie in difficoltà e per questo, già dieci anni fa, abbiamo fornito in comodato d’uso gratuito la palazzina di via Fanfani per farne una struttura di accoglienza per le madri detenute come previsto dalla legge 62/ 2011. Ringrazio quindi il ministro Bonafede, per essere intervenuto a sbloccare una vicenda che si trascina da troppo tempo facendo vittime innocenti».
Il ministro della Giustizia quindi conferma che si adopererà per ampliare gli Icam, gli istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri in sede esterna agli istituti penitenziari, con lo scopo di evitare a questi bambini un’infanzia dietro le sbarre. Da ricordare che sono strutturati in modo tale da non ricordare il carcere, ma l’ambiente familiare: il personale di sorveglianza lavora senza divisa, vi è la presenza costante di alcuni educatori specializzati che assicurano un’opportunità di formazione alle madri e un sostegno nel rapporto affettivo con i figli. La strutturazione degli spazi risponde a precisi criteri pedagogici in modo tale che i bambini possano formulare una propria idea di casa, proprio per evitare che soffrano l’esperienza della carcerazione forzata.
Le principali finalità che hanno condotto alla realizzazione dell’Icam riguardano la volontà di supportare le madri nel seguire percorsi di crescita e di reinserimento nel tessuto sociale, valorizzando il rapporto madre- bambino in modo da costruire una relazione quanto più sana possibile e restituendo autorevolezza alla figura materna. I bambini possono trascorrere del tempo fuori dall’istituto in compagnia di familiari o di volontari. Il personale di Polizia penitenziaria è composto da agenti di sesso femminile, mentre gli educatori presenti sono di entrambi i sessi, così da permettere ai minori di relazionarsi anche con figure maschili in maniera costante.
In realtà, la legge numero 61 del 2011 per le detenute con figli prevede anche l’istituzione delle case famiglia protette, un’alternativa ritenuta valida da diverse associazioni, tipo “A Roma Insieme”, e non per ultimo dal garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma. Ad oggi, grazie a diversi sforzi dell’amministrazione locale e gli enti disposti a metterci i soldi, esistono solo due case famiglia: una a Roma e l’altra a Milano. Se da una parte il ministro Bonafede dice di ampliare le Icam, dall’altra c’è chi preme per destinare i soldi alle case protette.
C’è ad esempio il Gruppo Crc ( il gruppo di lavoro per l’infanzia) che aveva presentato il terzo rapporto supplementare – relativo all’anno 2016/ 2017 – alle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, alla cui redazione hanno contribuito 144 operatori delle 96 associazioni del network: nella sezione dedicata ai figli di genitori detenuti, il Gruppo ha raccomandato al ministero della Giustizia di destinare parte delle risorse previste per gli Icam agli enti locali a cui è in carico la titolarità delle Case Famiglia Protette.
Attualmente lo Stato finanzia solamente gli Icam perché sono sotto l’amministrazione del Dap, mentre le case famiglia sono una misura alternativa al carcere, destinata maggiormente alle donne che non hanno un luogo dove poter scontare una pena agli arresti domiciliari. Ed è proprio questa caratteristica che “giustifica” la mancanza di fondi statali. Le case famiglia protette possono essere realizzate soltanto con l’aiuto degli enti locali.