Il calvario di Garrone: «16 anni sotto processo da innocente. Mai interrogato da un pm»
La storia di Pierdomenico Garrone, ex presidente di Enoteca del Piemonte e di Enoteca d’Italia, assolto pochi giorni fa in appello dopo l'assoluzione in primo grado
Una vita sospesa per sedici anni. Una carriera distrutta, spese infinite, reputazione a pezzi. Fino all’assoluzione con formula piena, dopo esser stato accusato perfino di un reato commesso otto anni dopo le sue dimissioni. «Sarebbe bastato chiamarmi in procura e chiedermi delucidazioni. Non azionare tutto questo meccanismo inquisitorio, fare una conferenza stampa, poi abbandonare l’inchiesta per andare a fare l’amministratore di una società pubblica e lasciare che tutti gli imputati, intanto, nelle more, subissero le angherie sociali che abbiamo subito. Immagini una persona perbene, di una famiglia normale, che si vede al mattino le macchine coi lampeggianti accesi e i mitra davanti casa». Tutto questo è la storia di Pierdomenico Garrone, ex presidente di Enoteca del Piemonte e di Enoteca d’Italia, che pochi giorni fa, in appello, si è visto confermare l’assoluzione già rimediata in primo grado quattro anni fa.
Da Asti a Roma, la storia di Pierdomenico Garrone
Un processo e un’inchiesta lunghissimi, senza esser mai stato sentito dai pm che lo accusavano di aver fatto carte false sfruttando il suo ruolo. A chiudere una storia che si era aperta ad Asti, ad opera dell’allora procuratore Sebastiano Sorbello, ci ha pensato la Corte d’Appello di Roma, che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’allora pm romano Stefano Rocco Fava. Ma nel frattempo Garrone è stato escluso dal mondo della politica e dal mondo della professione. Un tipo di evitare, insomma, nonostante fosse innocente. «Si vive l’esperienza di quello che in giro si vede indicare macchie sulla camicia che non ritiene di avere», sottolinea.
Il blitz della Guardia di Finanza
Tutto è cominciato un giorno di aprile del 2005, alle sette del mattino. «Ero in viaggio in treno tra Torino e Milano - racconta al Dubbio Garrone - e ho ricevuto una telefonata da mia madre, che era anziana: così come mio suocero e mia sorella, si era vista arrivare a casa la Guardia di Finanza che, col mitra spianato, stava mettendo sottosopra le nostre proprietà. Una volta arrivato ad Acqui Terme ho scoperto di essere indagato». Tra le proprietà perquisite, però, mancava proprio casa sua. Così Garrone decise di condurre lui stesso le forze dell’ordine nel suo appartamento, assieme al suo commercialista. «Non volevo essere accusato di aver nascosto o manomesso prove e feci mettere a verbale che nel mandato di perquisizione non era stato inserito il mio luogo di residenza», spiega. Nel frattempo, alle undici e mezza, nei locali della procura andò in onda la conferenza stampa, dove l’inchiesta venne presentata «come se fossi già stato dichiarato colpevole».
Il giorno delle dimissioni
Da quel momento la vita di Garrone cambiò radicalmente, a partire dalle dimissioni da presidente di Enoteca Piemonte ed Enoteca d’Italia, posti in cui era stato piazzato rispettivamente dalla Regione e dal governo e dalla conferenza delle Regioni. Due istituzioni per la promozione del vino in piena attività, con una rilevanza istituzionale in Italia e all’estero. Garrone, all’epoca, presiedeva il Consiglio di amministrazione, dove tutte le decisioni venivano prese all’unanimità. «Non volevo recare nocumento alle due istituzioni, quindi mi sono immediatamente dimesso», spiega. Il 100% di Enoteca d’Italia apparteneva a Buonitalia, società che poi ha incorporato la prima. «La verifica e il controllo spettavano a Buonitalia - racconta -. Io non ricevevo denaro direttamente dal ministero, mi limitavo all’atto di indirizzo di progettazione di comunicazione per la promozione, che è il mio mestiere».
Fascicolo trasferito a Roma
Pochi mesi dopo le dimissioni di Garrone, anche Sorbello - che agli otto indagati (tutti assolti) contestava le accuse di associazione per delinquere, false fatturazioni e truffa ai danni dello Stato - lasciò la magistratura, diventando presidente di un ente pubblico contro la contraffazione dei marchi. L’avventura giudiziaria di Garrone, però, andò avanti anche senza di lui, con il trasferimento del fascicolo a Roma, dove il caso finì in mano a Fava, recentemente rinviato a giudizio nell’ambito del caso Palamara con le accuse di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, abuso d'ufficio e accesso abusivo a sistema informatico. Neanche lui, però, interrogò mai Garrone. E dopo l’assoluzione in primo grado, decise di ricorrere in appello, ipotizzando per l’ex numero uno di Enoteca la bancarotta fraudolenta per il crac di Buonitalia, fallita nel 2013, ovvero otto anni dopo le sue dimissioni e nonostante non avesse deleghe operative per fare fatti concreti. «Dopo di me ci sono stati altri presidenti e commissari e quindi altri collegi sindacali - evidenzia -. Inoltre, i vertici di Buonitalia non sono mai stati indagati. Giuridicamente l’accusa è risultata assurda anche per il procuratore generale, che ha aperto l’udienza dichiarando di non poterla sostenere». Com’è stato possibile far durare tanto questo processo? «Credo che sia nelle logiche che leggiamo sui giornali: si tiene poco conto dell’impatto che queste indagini hanno sulla vita delle persone. Ed è per questo che intendo costituire l’associazione “Diritto alla buona fama”», racconta.
Mai stato sentito dai pm
Garrone non ha mai subito misure restrittive, tranne quella alla sua reputazione. Il che, per un uomo che vive di politica e affari, è praticamente tutto. «Rimango un signore che nel 2005 riceve un avviso di garanzia più le perquisizioni. Uno che non è stato mai stato sentito né a cui sono stati chiesti chiarimenti, ma che per 16 anni si è portato dietro un carico pendente», sottolinea. E tutto ciò, di fatto, gli ha impedito di proseguire la sua carriera di manager pubblico. «Ho perso chance non indifferenti: consideri che il settore vitivinicolo è uno dei principali asset del pil di questo Paese e io ne presiedevo la promozione. Io mi occupo di web reputation, vendo credibilità e competenza, ma quando la credibilità è inficiata da un atto di questa natura è fortemente limitata la promozione sul mercato».
Il danno economico
Anche economicamente, dunque, le perdite sono state mostruose, a partire dai costi per l’esercizio legale per finire ai danni patrimoniali e professionali da centinaia di migliaia di euro, per tutte le possibilità alle quali non ha potuto accedere. A ciò si associa la fine di Enoteca: «All’epoca della mia presidenza c’era il Salone del vino in Piemonte e il Piemonte era la regione che guidava l’Enoteca d'Italia. Dopo Garrone non c’è più il Salone del vino, non c’è più Enoteca del Piemonte, non c’è più Enoteca d’Italia. E la promozione del vino non è più a sistema com’era stata progettata allora». Ora Garrone intende chiedere i danni per i 16 anni rimasti a mollo nel pozzo della giustizia: «Provocatoriamente ho già detto che scriverò per sapere a chi devo dare il mio iban per il risarcimento dei danni che ho subito - conclude -. Farò tutto ciò che la legge consente, ma certamente non si può pretendere che si spengano le luci e finisca la festa. Altre persone stanno subendo e subiranno le stesse angherie che ho subito io».