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Altro che ammorbidimento del 41 bis attraverso la circolare che puntava ad uniformare le regole del 41 bis. Secondo il Garante nazionale delle persone private della libertà, in alcuni istituti penitenziari l’adozione di tali regole interne risultano eccessivamente dettagliate su aspetti quotidiani che vanno anche oltre le già minuziose prescrizioni della Circolare del 2 ottobre 2017, su cui peraltro il Garante stesso aveva espresso a suo tempo alcune riserve. Situazioni soggettive relative alle reiterate proroghe del regime in controtendenza alla sentenza della Consulta del ’ 93 e all’inserimento di taluni in “aree riservate” che finiscono per costituire un regime nel regime. Parliamo delle analisi delle sezioni speciali e criticità rese pubbliche attraverso il rapporto dal Garante nazionale. Alla data della redazione del presente Rapporto le persone detenute sottoposte a tale regime sono 748 ( tra cui 10 donne); gli internati in Casa di lavoro e sottoposti allo stesso regime sono 5. Del totale delle persone detenute in regime speciale, soltanto 363 hanno una posizione giuridica definitiva ( i rimanenti sono in posizione mista o in misura cautelare). Soltanto 4 donne sono in posizione definitiva.
NON DEVE ESSERE UN “CARCERE DURO”
Il Garante nazionale non entra nel merito della normativa del 41 bis, ma «si focalizza sulla valutazione di come la sua applicazione rispetti i parametri di legittimità indicati dalla Corte costituzionale e altresì di come la sua reiterazione, spesso per un numero cospicuo di anni, a carico della singola persona, possa esporsi al rischio di incidere sull’inderogabile principio di tutela dei diritti umani di ogni persona, indipendentemente dal suo status di libertà o detenzione, nonché dei diritti fondamentali che, pur nei limiti oggettivi posti dalla situazione privativa della libertà e in regime particolare, non cessano di essere tutelati dalla nostra Carta costituzionale». Il Garante ci tiene molto al linguaggio. Raccomanda di non definire mai tale regime il “carcere duro”, perché ciò potrebbe far pensare che il 41 bis abbia misure afflittive in più e potrebbero far pensare che tale regime abbia una finalità diversa da quella prevista dalla normativa e che sia utilizzato come “incoraggiamento alla collaborazione”. Sappiamo che la finalità del 41 bis dovrebbe essere un’altra, ovvero «volta a far fronte a specifiche esigenze di ordine e sicurezza, essenzialmente discendenti dalla necessità di prevenire ed impedire i collegamenti fra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali, nonché fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà: collegamenti che potrebbero realizzarsi – come l'esperienza dimostra – attraverso l'utilizzo delle opportunità di contatti che l'ordinario regime carcerario consente e in certa misura favorisce ( come quando si indica l'obiettivo del reinserimento sociale dei detenuti ' anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno”)»
LA DOPPIA PENA DELLE AREE RISERVATE
Più volte il Garante ha messo all’indice tale punizione che risulta essere, di fatto, un super 41 bis. Tali sezioni sono separate dalle altre che accolgono le persone sottoposte a tale regime e sono destinate alle figure ritenute apicali dell'organizzazione criminale di appartenenza. Il Garante spiega che si tratta di 14 “Aree”, distribuite in 7 Istituti, in cui alla data di redazione del Rapporto ( 3 gennaio 2019) risultano ristrette 51 persone ( solo 30 di 21 di esse sono in posizione giuridica definitiva). Non vi è dubbio che si tratti di persone il cui profilo criminale richiede particolare attenzione e condizioni di massima sicurezza, «tuttavia – si legge nel Rapporto -, si potrebbe osservare che tale richiesta rientra nella stessa definizione dell’ambito di applicazione del regime speciale, senza bisogno di ulteriori specialità». Risulta che tale modalità applicativa a volte porta a un quasi sostanziale isolamento della persona detenuta. Per evitare la violazione formale delle norme che regolano l’istituto dell’isolamento, viene spesso collocato nell'area riservata anche un altro detenuto, sempre in regime speciale, che non avrebbe titolo a starvi ma che svolge una funzione “di compagnia” nei momenti di “socialità binaria” e durante i passeggi. «Soluzione – denuncia il Garante - che determina l'applicazione di un regime particolare del tutto ingiustificato a una seconda persona oltre a quella destinataria della specifica cautela». Il Garante raccomanda, quindi, che si ponga fine alla previsione delle aree riservate all’interno degli istituti che ospitano le sezioni del 41 bis.
LA CRESCENTE REITERAZIONE DELL’APPLICAZIONE DEL 41 BIS
Nel corso delle visite, il Garante nazionale ha riscontrato numerosi casi di persone sottoposte al regime del 41 bis da oltre 20 anni e ha verificato la ricorrenza nei provvedimenti di proroga di motivazioni che sostanziano il fondamento della reiterazione nella «assenza di ogni elemento in senso contrario» al mantenimento di collegamenti con l’organizzazione criminale operante all’esterno.
Nei provvedimenti di proroga i riferimenti frequenti sono il reato “iniziale” per cui la persona è stata condannata e la persistente esistenza sul territorio dell’organizzatone criminale all’interno del quale il reato è stato realizzato. Ma il Garante sottolinea che la concreta operatività dei decreti di proroga è esposta al rischio di disattendere le prescrizioni della Corte costituzionale che, a partire dal 1993 e costantemente, nelle successive pronunce, ha stabilito la necessità di adeguata motivazione per ogni provvedimento applicativo e per ogni decreto di proroga, affermando, come noto, che «ogni provvedimento di proroga delle misure dovrà recare una autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l'ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire: non possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime differenziato, né motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte». Il Garante nazionale raccomanda che non si protragga il regime speciale previsto dal 41 bis fino al termine dell’esecuzione di una pena temporanea e che, al contrario, qualora nel periodo previsto per un eventuale rinnovo sia compreso il termine dell’esecuzione penale, si eviti la reiterazione «dando così la possibilità all’Amministrazione penitenziaria di progettare percorsi che gradualmente accompagnino alla dimissione, utili al positivo reinserimento sociale nonché maggiormente efficaci per la tutela della sicurezza esterna».