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Il Consiglio d'Europa
Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale (IA) si è insinuata con sempre maggiore forza nelle pieghe del sistema penitenziario europeo. Una realtà che l’Associazione Antigone, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti umani, osserva con attenzione, evidenziandone le luci e le ombre. Le tecnologie digitali promettono di rivoluzionare la gestione delle carceri, ma dietro l’apparente efficienza si celano interrogativi profondi: quale prezzo pagheranno i detenuti? E soprattutto, si può affidare il futuro della giustizia a un algoritmo?
Il Consiglio d’Europa ha scelto di intervenire in questo dibattito con la Raccomandazione CM/ Rec (2024), un documento che traccia le linee guida etiche e organizzative per l’uso dell’IA nei sistemi penitenziari e di libertà vigilata. Eppure, come sottolinea Antigone, il vero interrogativo non è tanto come impiegare l’IA, ma se essa possa davvero conciliarsi con la tutela della dignità umana.
Secondo l’analisi di Antigone curata da Rebecca De Romanis, il dibattito sull’IA in carcere è emblematico delle contraddizioni del sistema penale. Da una parte, la tecnologia offre soluzioni tangibili: monitoraggio in tempo reale, maggiore sicurezza, previsioni sul rischio di recidiva. Dall’altra, rischia di al\\ imentare un modello carcerario sempre più orientato al controllo e meno alla riabilitazione.
L’esperienza finlandese, ad esempio, racconta di carceri “intelligenti” in cui i detenuti collaborano con una start- up per etichettare dati, acquisendo competenze utili al reinserimento sociale. Un progetto ambizioso, che però ha sollevato interrogativi etici sulla retribuzione e sul rischio di sfruttamento. Ancora più controverso è il caso del sistema RisCanvi in Catalogna, che utilizza algoritmi per prevedere la pericolosità dei detenuti, con il risultato di vincolare benefici penitenziari a valutazioni spesso opache e discriminatorie. Antigone punta il dito contro la centralità degli “algoritmi predittivi”, che promettono efficienza ma si fondano su dati statici, come il passato criminale dei detenuti. «È un approccio che rischia di legittimare il pregiudizio anziché superarlo» , afferma l’associazione. In una visione dominata dall’automazione, il reinserimento sociale appare un’utopia, schiacciato dalla logica della sorveglianza totale.
LE RACCOMANDAZIONI DEL CONSIGLIO D’EUROPA
Con la Raccomandazione CM/ Rec (2024), il Consiglio d’Europa ha cercato di porre un argine ai rischi, tracciando una visione che mette al centro l’essere umano. Il documento è complesso, quasi un labirinto di principi e vincoli che si intrecciano. Per comprenderlo appieno, bisogna immergersi nelle sue sfumature. Al cuore del testo c’è un monito potente: l’IA non deve mai trasformarsi in uno strumento di oppressione. Deve servire l’uomo, non dominarlo. Le tecnologie digitali, si legge nel documento europeo, possono migliorare la sicurezza degli istituti e persino facilitare il reinserimento dei detenuti, ma il loro uso deve essere strettamente proporzionato, mai invasivo o arbitrario.
Un passaggio centrale riguarda la protezione dei dati personali. Il Consiglio d’Europa sottolinea che ogni informazione raccolta sui detenuti deve essere trattata con estremo rigore, limitandone l’uso a quanto strettamente necessario. È una questione di equilibrio, tra la necessità di monitorare e quella di tutelare la privacy, un diritto spesso sacrificato nelle carceri. Ma il documento si spinge oltre, affrontando il delicato tema del controllo umano. Qualsiasi decisione automatizzata, che riguardi benefici penitenziari o valutazioni di rischio, deve essere verificata da professionisti in carne e ossa. L’algoritmo, insomma, non può essere il giudice ultimo della sorte di un individuo. Il tono del testo si fa poi quasi visionario quando affronta il potenziale riabilitativo dell’IA.
Il Consiglio immagina un futuro in cui le tecnologie digitali non solo aiutino i detenuti a sviluppare competenze lavorative, ma li assistano nella gestione della salute mentale e nei contatti con le famiglie. Nel contempo, avverte, nulla può sostituire il rapporto umano, il dialogo diretto con chi opera all’interno del sistema.
IL VOLTO UMANO DELLA TECNOLOGIA
In un’epoca dominata dall’automazione e dalla digitalizzazione, il concetto di “volto umano della tecnologia” appare come un’oasi di speranza in un deserto di algoritmi e freddi calcoli statistici. Le raccomandazioni del Consiglio d’Europa insistono su un principio cardine: la tecnologia deve essere al servizio delle persone, non sostituirle. Questo principio non è solo un vincolo etico, ma un monito contro la disumanizzazione delle istituzioni penitenziarie. Il “volto umano” dell’IA, secondo il Consiglio, si traduce nella capacità di preservare il contatto umano tra detenuti e operatori penitenziari. Nei corridoi di una prigione, dove spesso si respira solitudine e alienazione, il rapporto diretto con un educatore, uno psicologo o un agente rappresenta una luce di umanità.
L’IA non deve oscurare questa luce, ma alimentarla, aiutando gli operatori a lavorare meglio, con strumenti che li supportino senza mai sostituirli. Un esempio emblematico è l’uso dell’IA per facilitare il dialogo tra detenuti e le loro famiglie. In molti casi, le tecnologie digitali possono abbattere barriere geografiche e logistiche, permettendo a un padre detenuto di partecipare a distanza alla vita quotidiana dei suoi figli. Anche in questo caso, il Consiglio sottolinea che queste modalità non devono diventare un alibi per ridurre i contatti umani diretti. «Un abbraccio non può essere sostituito da una videochiamata», sembra ammonire il testo, ricordando che l’obiettivo ultimo resta il reinserimento sociale e il recupero della relazione umana.