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È un dettaglio. Ma va colto. Due giorni fa il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza ha trasmesso a Sergio Mattarella una seconda lettera, che fa seguito all’appello sulla prescrizione rivolto nei giorni scorsi al Quirinale da penalisti e professori. In quella prima missiva l’avvocatura, insieme con qualcosa come 110 tra i più autorevoli esponenti dell’accademia processual- penalistica italiana, elencava le ragioni di «illegittimità costituzionale» della norma che abolisce la prescrizione dopo il primo grado, e che è contenuta nel ddl Anticorruzione. Precisa ed esplicita la richiesta: voglia il presidente della Repubblica valutare «l’ipotesi di rinviare il testo alle Camere con messaggio motivato». Due giorni fa Caiazza scrive di nuovo al Capo dello Stato per “aggiornarlo”: «Illustrissimo Signor Presidente, si sono aggiunte nuove adesioni». E giù l’elenco supplementare, con un’altra trentina di nomi illustri, fra cui la firma di qualche studioso che non si occupa specificamente di diritto ma che è fortemente impegnato in campo civile come il filosofo Biagio de Giovanni. Segue quindi una precisazione con cui Caiazza spiega al presidente della Repubblica che «si sono infine aggiunti ulteriori 16 docenti in calce ad un autonomo documento di adesione al nostro appello, e che di seguito trascrivo». Vengono così riportate le specifiche argomentazioni con cui questi altri professori di diritto penale chiedono a Mattarella di rinviare la legge alle Camere per l’incostituzionalità dello stop alla prescrizione. Il fatto insolito – e di grande significato – è proprio nella scelta compiuta dai 16 studiosi che si sono voluti unire all’appello seppure «nella varietà delle motivazioni». Avrebbero potuto semplicemente aggiungere i loro nomi. Invece hanno voluto esprimere al presidente della Repubblica i loro particolari motivi di dissenso. Come se l’accademia tendesse ormai a costituirsi a propria volta come soggetto politico o comunque partecipe al dibattito pubblico, persino con l’articolazione in diverse comunità di pensiero: tra i 16 che si sono aggiunti per ultimi, ci sono professori di Diritto penale delle università di Torino, Parma, Enna, Napoli, Reggio Emilia. Insomma, una rete diffusa in ogni parte d’Italia, non spiegabile con la semplice vicinanza geografica ma in base a una comunione di idee. È appunto il segno di una mobilitazione civile inedita sui temi della giustizia.
LE PREOCCUPAZIONI DI MATTARELLA
Al presidente della Repubblica non sfugge il rilievo di un simile allarme. Ma non gli sfugge, soprattutto, il contenuto problematico di diverse misure contenute nel ddl “Spazza corrotti”. Non solo della norma che abolisce la prescrizione dopo il primo grado. I rilievi di penalisti e professori coincidono in gran parte con quelli emersi alla verifica compiuta dall’Ufficio per gli Affari di giustizia del Quirinale e dallo stesso Mattarella, che vanta un lungo cursus da professore di Diritto parlamentare e che all’inizio della sua carriera universitaria si è occupato anche di Diritto costituzionale. Eppure la promulgazione della legge anticorruzione arriverà ugualmente in queste ore. La preoccupazione e le perplessità di Mattarella ci sono, riguardano soprattutto il rischio che senza la prescrizione i processi, già troppo lunghi, arrivino a una durata intollerabile. Eppure il Presidente ritiene impossibile costruire un giudizio di «manifesta incostituzionalità», che è il solo a poter giustificare un rinvio della legge alle Camere. Di questo sembra convincersi il Capo dello Stato, rientrato giovedì scorso dopo il breve soggiorno a Palermo. E in base a quanto risulta, se ne potrebbe dedurre che Mattarella ritenga possibile far emergere un contrasto fra lo stop alla prescrizione e gli l’articoli 27 e 111 della Carta solo con la via ordinaria dell’eccezione di costituzionalità sollevata nell’ambito di un processo. Perché evidentemente il rischio che, con la prescrizione abolita, i giudizi durino in modo irragionevole esiste, sì, ma in virtù di una patologica condizione della macchina processuale che di per sé non può concorrere a un giudizio di illegittimità «manifesta», in quanto fattore contingente e in astratto superabile. Dopodiché probabilmente al Quirinale comprendono meglio che altrove quanto sarà impervio curare quella patologia. E magari anche il fatto che, prima o poi, un “incidente” processuale sull’incostituzionalità della prescrizione arriverebbe. Più poi che prima, perché la “riforma” produrrà i propri effetti dopo almeno 7 anni da quando entrerà in vigore, cioè dal 1° gennaio 2019. Resta la non infondata ipotesi che Mattarella, una volta promulgata la legge con dentro la prescrizione, rivolga comunque un messaggio al Parlamento. O che ne faccia cenno durante il discorso di fine anno. Strade che d’altra parte non possono spingersi a un’intrusione nel merito. E che il Presidente eventualmente dovrà percorrere nell’auspicio che in qualche modo le Camere considerino i rischi della prescrizione mandata al macero.