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Di seguito le osservazioni della Giunta dell'Unione delle Camere penali italiane sulle linee-guida emanate da Csm e Cnf sulla smaterializzazione del processo penale. «Le Camere Penali sono chiamate a difendere anche nell’emergenza principi e regole del giusto processo. Se si vogliono ottenere protocolli condivisi con l’avvocatura, è necessario prevedere prassi nel solco del rigoroso rispetto delle norme temporanee valevoli per il solo periodo di pandemia». Nel periodo emergenziale conseguente al diffondersi dell’epidemia causata dal “Covid-19” le Camere penali territoriali sono state chiamate dai capi degli Uffici giudiziari ad esprimere il loro parere in ordine alla celebrazione delle udienze penali da remoto e spesso anche a sottoscrivere protocolli per la disciplina delle stesse. Sul punto sono intervenuti con apposite delibere il Consiglio Superiore della Magistratura in data 26.3.2020 e il Consiglio Nazionale Forense in data 27.03.2020 La Giunta ritiene, pertanto, di dover prendere posizione in ordine a tale problematica ed osserva quanto segue. L’approccio corretto per affrontare la questione appare, incontrovertibilmente, quello di individuare nella disciplina codicistica l’ammissibilità, le regole ed i limiti relativi alla partecipazione al dibattimento a distanza. La materia risulta essere regolata dagli artt. 45 bis e 146 bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, introdotti con la Legge 7 gennaio 1998 n. 11 e successivamente modificati dalla L. 23.06.2017 n. 103 e dal D.L. 25.07.2018 n. 91. Dalle norme in esame emerge: a) La partecipazione a distanza è ammessa per le udienze dibattimentali e per quelle in camera di consiglio alle quali prendano parte l’indagato, l’imputato ed il detenuto. b) Tale modalità è ammessa:
- b.1 per i «delitti indicati nell’art. 51 comma 3 bis, nonché nell’art. 407, comma 2, lett. a) del codice […]» (cfr. 146 comma 1);
- b.2 allorquando si tratti di un processo nel quale risulti imputata una persona ammessa a programmi o misure di protezione (art. 146 comma 1 bis);
- b.3 «anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario» (art. 146 bis comma 1 quater).
- l’imputato che versi in stato di detenzione e il suo difensore e/o il sostituto dello stesso;
- l’imputato ammesso a programmi o misure di protezione e il suo difensore e/o il sostituto dello stesso;
- nei procedimenti in camera di consiglio;
- l’indagato e il condannato che versino in stato di detenzione e il loro difensore e/o il sostituto;
- il testimone detenuto nei processi di cui al comma 1 quater;
- le altre parti ed i loro difensori nei processi per i quali è previsto il collegamento a distanza, su loro istanza ed a loro spese;
L’udienza di convalida dell’arresto o del fermo.
A tale udienza dedicano particolare attenzione tutte le determinazioni dei capi degli Uffici giudiziari, i protocolli e i documenti del CSM e del CNF che si occupano della materia. Le prassi applicative prevedono anche per tali udienze la trattazione a distanza, stabilendo che l’arrestato o il fermato partecipino collegandosi in videoconferenza o da remoto dall’istituto nel quale sono detenuti o dall’ufficio di polizia, mentre il difensore potrà essere presente all’udienza presentandosi nell’aula di udienza oppure, in linea con quanto previsto dal comma 4 dell’art. 146 bis nel luogo dove si trova l’assistito, ma, secondo taluni protocolli, anche collegandosi da altro luogo. Deve essere ribadito che tali modelli divergono dal dato normativo. Il menzionato comma 12 prevede, infatti, la partecipazione a distanza esclusivamente per le persone detenute, internate o sottoposte a custodia cautelare, quindi non anche per le persone arrestate. Dal punto di vista ermeneutico va osservato che é del tutto pacifico che il provvedimento di arresto sia totalmente diverso dallo stato di detenzione e dalla misura custodiale, non fosse altro perché non viene assunto dal giudice, potendo, come avviene spesso, essere adottato financo dalla polizia giudiziaria. Né, tanto meno, può essere ammessa una interpretazione analogica o estensiva del dato normativo, atteso il divieto di cui all’art. 14 delle preleggi al codice civile, essendo la partecipazione a distanza al processo norma che deroga alla regola generale che richiede la presenza di tutti i soggetti nell’aula di udienza. Non si disconosce che una siffatta prassi viene adottata in conseguenza dell’attuale grave emergenza sanitaria, ma deve essere con chiarezza segnalato che l’adesione alla stessa comporta una significativa divergenza dal dato normativo, nonché la rinuncia ad una fondato rilievo di nullità, riconducibile al disposto dell’art. 178 lett. c). c.p.p.. Si deve, altresì, evidenziare che appare del tutto divergente dal dato normativo la prospettazione che il difensore possa presenziare all’udienza collegandosi da un luogo diverso dall’aula di udienza o dal luogo dove si trova l’assistito. Tale modalità non è prevista dal comma 12, anzi si può ritenere dallo stesso esclusa, atteso il richiamo al comma 4 dell’art. 146 bis att. c.p.p. che prevede, in ordine al luogo di partecipazione del difensore all’udienza, solo ed esclusivamente la richiamata alternativa. In definitiva, l’adesione a siffatti modelli dovrà essere valuta con particolare attenzione e nella consapevolezza di tutte le ricadute che tale scelta comporta. Il processo con rito direttissimo conseguente alla convalida. Anche tale procedimento viene fatto oggetto di trattazione nei documenti sopra richiamati. Ma trattasi di disciplina che non si differenzia dalle norme generali previste dall’art. 83 del D.L. 17.03.2020 n. 18. Infatti qualora all’esito della convalida venga disposto il giudizio direttissimo ne discendono due ipotesi: a) qualora venga applicata una misura cautelare l’indagato o il difensore potranno chiedere la trattazione ai sensi del n. 1 dell’art. 83, comma 3 lett. b); b) qualora non venga applicata una misura cautelare il processo andrà sospeso ai sensi del comma 1 del richiamato art. 83.Le ulteriori prassi applicative.
Vanno, viceversa, ritenute non conformi a legge e quindi da censurarsi le ulteriori prassi applicative ipotizzate e talvolta anche praticate come tipizzate nei vari documenti adottati in questo periodo. A tale riguardo va osservato che di alcun pregio appare essere, inoltre, l’assunto che farebbe discendere la praticabilità di modalità di svolgimento delle udienze divergenti dal modello codicistico dai poteri attribuiti ai capi degli Uffici giudiziari dal comma 7 del richiamato art. 83, laddove si prevede che gli stessi possano adottare linee guida vincolanti per la trattazione delle udienze. Trattasi, a tutta evidenza, di un potere di carattere meramente amministrativo che non può minimante estendersi all’adozione di forme processuali differenti o derogatorie di quelle previste dalle norme di legge. Peraltro, nello stesso articolo è contenuta l’elencazione dei provvedimenti adottabili dai capi degli uffici per la trattazione delle udienze civili e penali; in materia penale, però, tali poteri sono limitati all’applicazione del disposto dell’art. 472 co. 3 c.p.p. vale a dire lo svolgimento a porte chiuse delle udienze dibattimentali pubbliche laddove sussistano ragioni di igiene, turbamento e sicurezza; facoltà prevista, peraltro, dal co. 12 del medesimo articolo. Pertanto, l’adozione di modalità di svolgimento delle udienze difformi dai modelli del codice di rito, adottate nell’esercizio di tali poteri sono illegittime. I soggetti per i quali è prevista la partecipazione all’udienza con collegamento distanza. Anche in ordine a tale profilo si rinvengono fraintendimenti e contrasti con il dato normativo. Il disposto del comma 12 dell’art. 83 non appare, sotto tale profilo, lasciare adito a dubbio alcuno; gli unici soggetti che per il quale la legge prevede il collegamento a distanza sono il detenuto, l’internato e il sottoposto a custodia cautelare: «[…] la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto […]». Va evidenziato che il disposto normativo, peraltro, non prevede neppure la partecipazione a distanza del difensore la cui presenza nel luogo dove si trova il cliente scaturisce dalla facoltà a lui attribuita dal comma 4 dell’art. 146 bis del D. legisl. 28.07.1989 n. 271, richiamato anche dal citato comma 12. Quanto sopra esposto consente di ritenere del tutto irrituali ed in palese violazione di legge alcune delle ulteriori modalità di svolgimento dell’udienza ipotizzate nelle delibere del C.S.M. e del C.N.F. in precedenza richiamate. Il riferimento deve essere fatto, in particolare, alla parte di tali documenti laddove si suggerisce la partecipazione a distanza dei giudici facenti parte dei collegi giudicanti alle udienze penali e finanche lo svolgimento con tali modalità della camera di consiglio. Trattasi di ipotesi non solo non previste da alcuna norma di legge, ma neppure lontanamente ipotizzabili anche con cospicuo impiego di fantasia. Il nostro ordinamento prevede che i giudici siano indefettibilmente ed irrinunciabilmente presenti nell’aula di udienza e che siano tutti contemporaneamente presenti nella camera di consiglio, avuto riguardo, peraltro, alla sacrale segretezza che la caratterizza. Contrariamente a quanto, assunto, una siffatta determinazione si concretizzerebbe in un atto abnorme in quanto eccentrico rispetto al sistema e ai principi del codice di rito. Tale atto inficerebbe, pertanto, irrimediabilmente l’intero processo. È quanto mai opportuno ribadire che il comma 12 dell’art 83 del D.L. n. 18/2020 non ha introdotto, neppure in via temporanea, nel nostro ordinamento il processo a distanza, bensì si è limitato ad estendere, rispetto alla disciplina codicistica, limitatamente al periodo emergenziale, la partecipazione a distanza alle udienze dei detenuti, degli internati e dei sottoposti a misura coercitiva e conseguentemente, se da loro ritenuto, dei loro difensori; per tutti gli altri soggetti, nulla cambia neppure nel periodo dell’emergenza: dovranno recarsi negli Uffici giudiziari. Desta meraviglia la leggerezza che connota le previsioni attuative emanate dal Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia, per come previste dall’art.83, comma 12 del D.L. n. 18/2020, che prevede a fronte della disposizione generale della utilizzazione degli strumenti di videoconferenza – già nella disponibilità degli Uffici giudiziari – testualmente: «in alternativa possono essere utilizzati i collegamenti previsti dall’art. 2 del presente provvedimento, laddove non sia necessario garantire la fonia riservata tra la persona detenuta, internata o in stato di custodia cautelare ed il suo difensore […]», laddove il richiamo agli strumenti previsti dall’articolo 2, che regola lo svolgimento delle udienze civili, è quello dei sistemi Skype for business e Teams. Come se fosse ipotizzabile una fase del processo che possa svolgersi senza la garanzia del dialogo riservato tra l’imputato e il suo difensore. Se adottate, soluzioni di tal fatta debbono essere immediatamente denunziate, per la loro contrarietà alle norme del codice di rito e alle stesse previsioni per la fase di emergenza. Deve essere senza tentennamento alcuno affermato che la gravissima e drammatica congiuntura che il nostro Paese sta attraversando non può essere pretesto per l’adozione di improbabili ed inaccettabili modelli processuali in evidente contrasto con le norme vigenti e con la Costituzione Repubblicana. Roma, 31 marzo 2020 La Giunta