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Siamo sicuri che il passato, il passato glorioso dello Statuto dei lavoratori, sia solo un trofeo da contemplare, e che il futuro del lavoro non riservi un confronto e un conflitto epocali come quelli di allora? Avvocati giuslavoristi italiani, l’associazione che riunisce i professionisti specializzati in un settore tanto decisivo per la tutela dei diritti, non crede alla “fine della storia”. Tanto che nel giorno del cinquantesimo anniversario dalla promulgazione della legge 300, mercoledì scorso, ha voluto tenere un incontro in videoconferenza dal titolo “Mezzo secolo di Statuto: a che punto è il lavoro”. Un dibattito che si è rivelato di straordinaria ricchezza, svolto con costituzionalisti, avvocati, accademici e il vicedirettore del Sole 24- Ore Alberto Orioli, una colonna dell’informazione in materia. Ebbene, le premesse che hanno suggerito al presidente di Agi Aldo Bottini di organizzare l’evento si sono manifestate in più d’una delle testimonianze raccolte: e le premesse rimandano al rischio che, se non è alle viste una conquista epocale come lo Statuto, neppure si può ignorare la crisi altrettanto epocale provocata dal covid. E perciò non è affatto da escludere un nuovo “autunno caldo”, ossia una stagione analoga a quella di cui la legge 300 fu un frutto preziosissimo, ma che ne produsse anche altri, assai meno gradevoli.
Però Bottini è avvocato che crede innanzitutto nel ruolo pubblico della sua professione. Non a caso mercoledì ha voluto partire proprio da una tavola rotonda con tre giudici costituzionali, Silvana Sciarra, Giulio Prosperetti e Giovanni Amoroso, per introdurre la giornata: costituzionale è infatti anche il ruolo dell’avvocato, in una democrazia costruita sull’architrave del diritto, anziché su rapporti di forza abbandonati alla loro imprevedibile dinamica. «Da praticante», ha subito ricordato il presidente di Agi, «i miei maestri mi dicevano di dover tenere un testo prima di tutto in bella vista sulla mia scrivania: lo Statuto dei lavoratori. E però è altrettanto necessario ricordare come le disposizioni importanti contenute in quella legge siano state nei decenni successivi modificate in base all’evoluzione del quadro economico e sociale», compreso, «l’articolo 18». L’evoluzione d’altronde, ha aggiunto Bottini, è stata frutto di un combinato disposto fra scelte del legislatore «e interventi della Consulta, che si è pronunciata più volte su disposizioni chiave della legge 300». Lo hanno ribadito i tre giudici costituzionali presenti: la loro testimonianza dimostra come il confronto sul lavoro, nell’autunno caldo di allora come in quello che potrebbe manifestarsi a breve, dovrebbe sempre rispettare quel perimetro definito dal diritto, anche attraverso le sentenze dei giudici, e del giudice delle leggi in particolare.
Perché una rottura di quella premessa inviolabile aprirebbe le porte a conflitti dall’esito non prevedibile. A illuminare con luce chiara i contorni della discussione proposta da Agi sono stati i protagonisti delle tue tavole rotonde successive. Nella prima si sono confrontati avvocati e professori come Raffaele De Luca Tamajo, Pietro Ichino, Umberto Romagnoli, Patrizia Tullini e la magistrata Rita Sanlorenzo, che hanno rievocato il percorso compiuto dal diritto del lavoro anche in tempi recenti. Ma particolarmente suggestive e capaci di indurre una riflessione sull’attualità di alcuni rischi sono state poi le testimonianze di avvocati che hanno avuto anche ruoli diretti nelle vicende all’origine della legge 300. Ad esempio Bruno Cossu ha ricordato come proprio la «Costituzione» sia entrata nelle fabbriche «solo grazie alo Statuto», perché prima si poteva assistere persino al licenziamento di un’operaia «che aveva approfittato della distrazione di una caporeparto per parlare con la collega...». Ecco, e non ci sarebbe il diritto del lavoro di oggi senza l’impegno, ricordato da Laura Hoesch, per affermare anche l’uguaglianza di genere: oggi la civilista che ha spiegato per anni la forza di tutele e protezioni sociali dalle pagine del Corriere della Sera ha 82 anni, e può fregiarsi del primato di aver istituito, al Coa di Milano, la prima commissione Pari opportunità, che sarebbe divenuta obbligatoria dal 2006 in ogni Ordine.
Le conquiste possibili hanno sempre i diritti all’orizzonte. «Distorglierne lo sguardo», ha avvertito Salvatore Trifirò, «espone a un rischio: essere dirottati dall’ideologia. E oggi», ha avvertito, «la situazione è diversa, ma ci sono molte preoccupazioni e non è facile immaginare la soluzione dei problemi che si prospettano». Mario Fezzi è stato il fondatore e primo presidente di Agi. Lui una soluzione ce l’ha: «Fare in modo che il lavoro dipendente a tempo indeterminato torni a essere la normalità, e che venga posto un argine alle esternalizzazioni da parte delle aziende, che rendono più facilmente licenziabili i dipendenti». Tutte ipotesi che ruotano attorno a quel principio: è il diritto che dev’essere il vero regolatore. Non i rapporti di forza.